di Alfredo Morganti – 14 giugno 2016
Stefano Folli su ‘Repubblica’ lo chiama ‘partito riformista trasversale”. Ilvo Diamanti ‘PdR’ ossia Partito di Renzi. Definirlo ‘Partito Democratico’ non dà più l’idea. C’è un certo pudore invece a chiamarlo ‘Partito della Nazione’ a tutti gli effetti, come poi è. Non si parla peraltro di una organizzazione effettiva. Qui ‘partito’ più che altro indica un concetto, una solidarietà di classi dirigenti, un rassemblement di destini e di interessi condivisi e talvolta indicibili. Che i ‘partiti’ come organizzazioni circoscritte e determinate nei confini e nelle appartenenze siano scomparsi o comunque fuori gioco, è assodato. Il terreno politico sembra ormai privo di ‘forme’, di spazi riconoscibili, di delimitazioni storiche e in una certa misura permanenti. Non si marca più a zona, come nel calcio moderno, ma si torna a ‘uomo’, si riparte dalle persone, ci si muove sul campo in totale libertà, tutto il campo è zona, tutto lo schieramento politico è area di conquista e di movimento. Eccolo il concetto di Partito della Nazione, eccolo il ‘verdinismo’ in quanto sperimentazione di quel concetto nella prassi politica attuale.
Lo stesso premier d’altronde, per negare l’esistenza di un partito con Verdini, ha esplicitamente detto che si trattava ‘soltanto’ di un Partito d’Aula. Una cosa limitata ai giochi parlamentari. E di cos’altro doveva trattarsi invece, di un nuovo partito di massa, radicato nella società e irreggimentato come i Khmer rossi? Oggi solo ‘partiti d’aula’ esistono, verticali, verticistici, di classi dirigenti ormai fuse, sovrapposte, senza più un colore specifico indosso. Oppure partiti trasversali sia alla società politica sia alle casematte della società civile, per i quali Marchionne, Renzi, uno stilista, un calciatore, un cantante e un cacicco locale risultano, infine, sodali di un qualche progetto sparso o di una riforma purchessia (con tutto quel che significa tale termine). In entrambi i casi siamo oltre la ‘liquefazione’ dei partiti che pure già ci spaventa, e che pregiudica i caratteri ‘partecipativi’ della democrazia. Siamo oltre nel senso che i ‘partiti’ sembrano sempre più combriccole di individui sparsi, liberi da ipoteche ideologiche, in massima parte appartenenti al ceto politico – organismi con una ‘capa’ tanta e due gambette sottili sottili, costituiti da cerchi magici in alto e al più da ipotetici ‘volontari’ in basso, destinati a friggere salsicce o a fare selfie dinanzi a sfigatissimi banchetti domenicali mentre piove pure. E poi ditemi se questo è un ‘partito’ oppure un’entità di incerta natura, del tutto impossibilitata, per volontà e per necessità, a essere quel soggetto politico e culturale della partecipazione e della trasformazione che invece servirebbe come il pane alla sinistra per prima.


