Con la caduta per congiura del Conte 2 il Pd si è suicidato e per gli italiani è sempre peggio
Il piano dello scellerato portato avanti da Matteo Renzi di abbattere il governo Conte e segare il ramo dell’alleanza tra Pd, 5 Stelle e LeU, è la ragione principale della vittoria della destra meloniana alle prossime elezioni.
Occorre tuttavia ricordare che se Renzi è stato il pugnale perfido per affossare Conte, l’onda è partita da molto più lontano: i mandanti della congiura erano “lor signori” che risiedono nel mondo finanziario italiano e forse anche oltre l’atlantico, nei proprietari dei giornali e dei mass media per l’ingordigia di prendere d’assalto Recovery Plan e ne faceva parte inopinatamente lo stesso Draghi nella vana speranza di andare a fare il Presidente della Repubblica.
La congiura riuscì anche grazie alla complicità (stupidamente involontaria) di esponenti del Pd, pure di primo piano come i presidenti dei gruppi parlamentari Del Rio e Marcucci, e di buona parte dei parlamentari che erano stati nominati da Renzi con le elezioni del 2018 con il rosatellum.
Il Matt(e)o di Rignano non comprese che così facendo tagliava il ramo su cui è da anni seduto, perchè era facilmente prevedibile che la destra avrebbe, appena eletto il Presidente della Repubblica nel febbraio del 2022, intrapreso la via del voto e della vittoria facile. Sarebbe comico se non fosse tragico, il balletto inscenato dalle tre destre che andarono separate alle consultazioni con Draghi, mentre erano andati insieme agli incontri con il Presidente della Repubblica solo per abbattere Conte (avevano, di fatto, un accordo con Renzi, tutto a vantaggio loro).
Tuttavia, demolita l’alleanza 5 Stelle/Pd, si sono riuniti in una settimana avendo a portata di mano la vittoria più facile.
Era tutto già scritto, lo scrissi in quel tempo io stesso che non sono certo uno scienziato politico e i quattro lettori di Nuovatlantide possono leggerlo negli archivi.
E’ curioso notare che Renzi nel nuovo paesaggio politico e grazie alla sua legge elettorale ha ottenuto un bel risultato, dato che mai avrebbe potuto essere rieletto in parlamento, se non che, per sua fortuna, ha incontrato l’altro fenomeno de noialtri – Carlo Calenda – che gli ha offerto un passaggio.
Con la caduta di Conte il Pd ha imboccato senza alcun indugio la strada del suicidio: l’istinto di sopravvivenza, convenienza e soprattutto l’interesse collettivo del Paese, avrebbero dovuto indurre quel partito a saldare con lealtà il rapporto con il Movimento 5 Stelle per impedire l’assalto alla diligenza di Lor signori e per affrontare al meglio i nodi cruciali che l’Italia aveva di fronte: avrebbe dovuto intraprendere un’azione politica in grado di aprire al dialogo e alla collaborazione con le forze sociali per gestire il dramma della disoccupazione e le sue conseguenze; avrebbe dovuto avanzare proposte per le riforme di cui lo Stato ha urgente bisogno per la pubblica amministrazione, le tasse, la scuola e pure per fare una legge elettorale democratica e non truffaldina come il rosatellum.
Caduto il governo Conte, il Pd è diventato il più strenuo e anonimo sostenitore della agenda Draghi, se non che l’agenda nessuno la conosce e lo stesso Draghi l’ha definita un metodo di governo: il metodo di un banchiere che proviene dalle élite e a quelle risponde. Il Pd non si è distinto su nulla, non ha fatto alcuna proposta che mettesse al centro l’obiettivo di colmare le diseguaglianze che sono diventate una tragedia per molti cittadini che lavorano e faticano ad arrivare a fine mese. Un compito che avrebbe dovuto essere l’imperativo categorico per un partito di centrosinistra. Stendo poi un velo pietoso e drammatico sull’invio alle armi in Ucraina dove siamo diventati i più fedeli sudditi degli Stati Uniti, dove Lorenzo Guerini esponente di primo piano del Pd pare un dipendente del pentagono più che il ministro della Difesa dell’Italia.
Arrivati così alla crisi del governo Draghi, lo stesso Letta ha sbagliato tutto il possibile e anche di più. Io ho sempre avuto stima per Enrico Letta e ancora adesso lo ritengo il migliore segretario che potrebbe avere il Pd attuale, ma è ovvio che in un sistema elettorale come il nostro se una coalizione si presenta unita e un’altra divisa, il risultato appare scontato. Orbene, la destra si è messa insieme in un baleno e il Pd ha risposto mettendo il veto su Conte – accusato ingiustamente di tutto. Anzi, il Pd ha fatto di peggio: agevolando la fuoriuscita di Di Maio dal Movimento ha di fatto accelerato la fine del governo Draghi e poi ha sperato con l’alleanza con Di Maio di demolire Conte e di prendere dei voti proveniente dai 5 stelle. Un gesto autolesionista, perfido e di nessuna possibilità di riuscita. E’ curioso rilevare che quando il Pd ha fatto queste scelte sciagurate, le “sinistre” di Speranza e Fratoianni si sono allineate senza indugio, con un posticino in collegi sicuri.
L’altra cretinata è stata quella tirare in ballo la faccenda del voto utile. Ho riscontrato io stesso che qualcuno dei miei amici e parenti ci ha creduto perchè non conosce la legge elettorale – orribile e truffaldina – che nei fatti ha consentito di togliere qualche centinaia di voti a De Magistris e forse ai 5 stelle, ma ha ottenuto l’unico risultato tangibile di legittimare la Meloni anche presso gli elettori che mai l’avrebbero prima considerata. Peggio, mostrandosi in un dibattito con lei (testa a testa) e la cordialità del confronto hanno cancellato tutte le cose dette da Letta stesso in quei giorni: sui pericoli di riforme costituzionali, di ritorno al fascismo, sulle alleanze internazionali. La legittimazione della Meloni comporta anche il rischio di alimentare un sentimento che purtroppo aleggia nel Paese, nei cittadini sfiduciati dalla politica. Molti dicono: ‘Eh, li abbiamo provati tutti, proviamo anche la Meloni’.
Questi sentimenti si possono ben comprendere, ma ha ben ragione Bersani quando dice che mettere una croce sulla Meloni il 25 è facile, ma la croce se la porteranno sulle spalle gli italiani. Le proposte della destra tra flat tax, Irpef unica, e autonomia differenziata sarebbero un ulteriore disastro per l’Italia e per gli italiani che vivono di lavoro.
Siamo arrivati così al paradosso di una tornata elettorale senza una campagna elettorale. Nessun tema politico si è dimostrato importante, nessun confronto elettorale ha suscitato passione. Salvini e Berlusconi hanno suonato il disco rotto da trent’anni di usura, con il risultato scontato la Meloni si è limitata a tentare di rassicurare Washington e i poteri europei, FdI che ha sempre votato contro le decisioni del governo Draghi si è trasformata in un attimo in un partito draghiano – e lo stesso premier – che ha attaccato la Lega e i 5 Stelle, è parso più volte proporsi come un futuro protettore della Meloni negli scenari internazionali.
In questo squallore di campagna elettorale l’unico che ha saputo imprimere una svolta di aria fresca è stato Giuseppe Conte che ha dimostrato una tempra di tutto rispetto, avversato (come mai avevo visto) dai mass media, liberatosi (grazie al Pd) di Di Maio e dalla ingombrante presenza di Beppe Grillo, ha presentato agli italiani una agenda sociale puntuale per dare una unità al Paese dilaniato dalle spinte più irrazionali e attenta ai bisogni dei più deboli e degli sfruttati. Ha presentato candidati decorosi, a differenza di tutte le altre liste zeppe di personaggi catapultati come astronauti in territori sconosciuti. E poi si è messo con umiltà a girare le piazze d’Italia che, come per miracolo, si sono riempite di cittadini qualsiasi.
Si misureranno le dichiarazioni elettorali alla prova dei fatti, ma come ha scritto Alfredo Morganti “la politica abbisogna di un lavacro, uno schiaffo, un calcio affinché riparta sulle nuove basi (le proprie) e si affidi all’ascolto dei bisogni e delle contraddizioni sociali non dei guru ben pagati. Non vi pare anche questo un buon motivo per votare chi tenta di stare “dalla parte giusta”, e non ti dice, enigmaticamente, “scegli”, “pronti”, “credo”? Scegli cosa? A cosa credi? Pronti a far che? Mah...”


