Cassese: «Le Regioni fanno troppe cose e male, il servizio sanitario dev’essere nazionale» ma sarebbe meglio chiudere le Regioni del tutto

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Diodato Pirone / Gian Franco Ferraris
Fonte: Il Messaggero

Sabino Cassese fa un ragionamento che non fa una grinza: ” Il diritto alla salute non cambia, se si passa dalla Lombardia alla Sicilia. Quindi, finita questa vicenda, bisognerà trasferire il servizio allo Stato o a una guida centrale assicurata da un organo composito Stato – regioni, ma che parli con una voce sola.”

D’altra parte Cassese è uno studioso e un esperto costituzionalista ma, a mio modestissimo parere, è venuto il momento di pensare a chiudere tutte le Regioni, che sono la cagione principale dell’incontenibile proliferare della spesa pubblica italiana. Le regioni significano un’immensa spesa improduttiva e una doppia burocrazia!

E’ vero che la richiesta di maggiore autonomia da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ha raccolto un consenso quasi unanime, come dimostrano i referendum tenuti dal Veneto e dalla Lombardia proposti dalla Lega e dalla destra in genere e pure con l’avvallo del Pd. Di fatto tuttavia si tratta di una truffa: i cittadini del Nord pensano così di utilizzare le proprie tasse per ridurle o al massimo per finanziare i propri servizi senza trasferimenti al “meridione parassitario”. In realtà invece le Regioni sono solo una inutile duplicazione dello Stato: abusano della possibilità di legiferare creando di fatto una doppia burocrazia. Da anni si parla di revisione della spesa pubblica “spending review” senza ottenere alcun risultato, se venisse fatta una sistematica analisi e valutazione di come vengono spese le risorse da parte delle Regioni l’esito sarebbe quello di un abnorme aumento della spesa pubblica improduttiva e pochissimi fondi messi a disposizione per l’efficienza dei servizi e per investimenti pubblici e privati.

Questo è il risultato, già a partire dall’istituzione delle Regioni ma è peggiorato con la riforma del titolo V della Costituzione, (si pensi alla gestione della sanità).

Occorre trarre le dovute conseguenze e trovare un assetto istituzionale funzionale alla vita politica e sociale dei cittadini italiani. L’Italia da sempre è stato il Paese dei Comuni e questi suddivisi tra città metropolitane e Comuni della dimensione di 50.000 o 100.ooo abitanti in modo da poter rispondere alle esigenze della collettività e ai bisogni dei cittadini in materia di ambiente, urbanistica, e gestione dei servizi produttivi dalla gestione dei rifiuti al sistema idrico integrato. (gian franco ferraris)

Ecco l’intervista di Diodato Pirone a sabino Cassese su “Il Messaggero”

Coronavirus, Cassese: «Le Regioni fanno troppe cose e male, il servizio sanitario dev’essere nazionale»

Professore, la pandemia mondiale sta mettendo in evidenza un diverso “agire” delle Regioni e soprattutto una notevole difficoltà dello Stato a coordinare gli interventi. E’ una tendenza non solo italiana, ma da noi ora c’é chi parla della necessità di inserire in Costituzione una clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni. Che ne pensa?
«L’articolo 117 della Costituzione riserva già allo Stato i compiti in materia di profilassi internazionale. L’articolo 120 della Costituzione consente già al governo di sostituirsi alle Regioni in casi di pericolo grave per l’incolumità. La legge 833 del 1978 già assegna al ministro della salute il compito di intervenire in caso di epidemie. Quel che è successo in Italia è dovuto solo alla scarsa autorevolezza del governo centrale, la cui debolezza – in questa materia e in questo frangente – è pari soltanto a quella dei governi centrali americano e tedesco (che sono però due Paesi federali, non a struttura regionale).

Il virus non ha confini. Come è possibile che di fronte a una situazione d’emergenza come quella che stiamo vivendo lo Stato non abbia assunto un ruolo più forte?
«La spiegazione è duplice. Primo: da un lato, vi sono presidenti di Regioni che fanno la voce grossa perché hanno una investitura presidenzialistica, diretta, popolare. Dall’altro un governo centrale con una maggioranza precaria e persone con scarsa esperienza (che tuttavia, anche per merito degli eccellenti uomini di scienza che abbiamo, stanno nel complesso tenendo la barra, se si fanno comparazioni con quel che succede nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Brasile). Secondo: i principali protagonisti sono stati i presidenti delle Regioni del Nord, a guida Lega, nei confronti dei quali il governo centrale si è trovato in posizione di minorità, per ragioni che si spiegano con le vicende della politica italiana degli ultimi due anni».

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Alcuni Costituzionalisti propongono di ridurre il potere alle Regioni o di dare al governo poteri di intervento effettivi in materia sanitaria compensando questa scelta con l’istituzionalizzazione della Conferenza Stato-Regioni. E’ una buona idea?
«Direi di più. Il servizio sanitario è definito nazionale perché deve avere una organizzazione e un funzionamento uniforme sul territorio. Il diritto alla salute non cambia se si passa dalla Lombardia alla Sicilia. Quindi, finita questa vicenda, bisognerà trasferire il servizio allo Stato, o a una guida centrale assicurata da un organo composito Stato – regioni, ma che parli con una voce sola. E’ questa una proposta da tempo affacciata, che tiene conto anche del fatto che dopo il 1970 alle Regioni sono state assegnate troppe funzioni, che svolgono con notevole affanno».

Ma il regionalismo spinto  in una nazione di media grandezza come l’Italia è proprio una buona idea?
«Imposterei la questione in altri termini, come ci aveva insegnato un bravo studioso della Cattolica, il professor Giancarlo Mazzocchi: bisogna stabilire i servizi che hanno quale dimensione ottimale la nazione, e quelli che hanno come dimensione ottimale la Regione. Se ci sono “effetti di traboccamento”, bisogna ridisegnare il perimetro delle competenze. Mi pare naturale, dopo esattamente cinquanta anni di esperienza regionale in Italia, fare un “check up”. Dopo tanti anni, compiti che una volta era bene svolgere in periferia vanno assegnati a organi nazionali, e viceversa.

Un presidente di Regione dura 5 anni, il Presidente del Consigliono – almeno nell’esperienza concreta – no. Non sarà il caso di rafforzare il governo con la sfiducia costruttiva o altri strumenti analoghi?
«Mette il dito sulla piaga che indicavo prima. Certamente non si può più pensare che il vertice dell’esecutivo sia tanto precario. Vi sono molti modi per assicurarne la durata, nell’ambito di un sistema parlamentare, che preserverei, considerati i venti che spirano dall’Ungheria».

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Commenti:

Maurizio Castori La germania che è uno stato federale con i lander, funziona pure, vorrà pur dire che siamo noi italiani a fare cose fatte male.
  • Gian Franco Ferraris hai ragione, ma ogni Stato ha una propria identità. C’era una barzelletta che faceva sorridere anche il Papa: “quale è il cittadino più fortunato d’Europa? Quello che ha il bobby inglese, la cucina italiana e lo stato tedesco. E quello più sfortunato? quello che ha lo stato italiano, il bobby tedesco e la cucina inglese”
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