Corsi e ricorsi storici for dummies

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti  9 maggio 2016

Ha detto Renzi che dopo il referendum ci sarà il redde rationem finale, ossia il Congresso (forse l’ultimo del PD e il primo del Partito della Nazione). Con questa indicazione, il premier ha minacciosamente tracciato la sua road map, che prevede (nel migliore dei casi per lui) l’asfaltatura totale della minoranza e la ridislocazione del PD su un terreno geometricamente centrale del sistema politico. D’altronde, ogni conquista del potere prevede sempre le stesse medicine, gli stessi passaggi, che lui sta peraltro somministrando al Paese e al partito con una sequenza e un ritmo impressionanti. Ecco in sintesi lo schema storico base, al quale sembra attingere.

Dapprima ci deve essere la conquista del potere, che deve avvenire con modi poco ortodossi se vuol essere devastante ed efficace. L’OPA di tipo aziendale alle primarie del PD in deroga simboleggiò proprio questa conquista, come una specie di impetuosa ed eccezionale avanzata da Firenze a Roma. Successivamente, ci deve essere la rapida (e poco ortodossa anche qui) conquista del governo, accompagnata dalla dichiarazione maschia di fare piazza pulita e rottamare le vecchie cose. Poi serve la legge elettorale maggioritaria, senza la quale bisognerebbe vincere davvero le elezioni, e non se ne parla proprio. Quindi le modifiche costituzionali, a completamento della presa del potere.

In mezzo c’è l’ossessione per la comunicazione, con un taglio personalistico, il ricorso continuo al senso comune, la narrazione dell’ira verso chi sbaglia o non lavora come dovrebbe, il richiamo continuo al fare, all’impegno personale contro chi chiacchiera di politica e dimentica la propria responsabilità e il proprio dovere verso l’Italia. Infine scatta il momento dei plebisciti, dove si deve dire ‘sì’, dove si deve consegnare tutto il proprio bagaglio critico per il bene di un Paese che vuole andare avanti e magari conquistare nel mondo un posto al sole. Non deve mancare la polemica contro i plutocrati, che oggi si possono identificare con quelli che mettono muri all’Europa e dimenticano la sorte comune. La Libia, un po’ d’Africa e le colonie non guastano mai.

L’ultimo passaggio, ma non il meno rilevante, è l’azione sul partito, che deve MODELLARSI a questa strategia, deve cambiare per flettersi sulle esigenze della leadership. E questo sta già avvenendo nelle aspirazioni (il partito della nazione) ma dovrà ancorché avvenire nella pratica e al momento opportuno, magari dopo il referendum-plebiscito. Nulla di nuovo, dunque, ma come un mantra che si ripete storicamente, magari in forme parodistiche. In altre circostanze storiche la sinistra ci ha rimesso le penne. Stavolta mi pare che già siamo ben donde. E non capisco se si tratta soltanto, e molto banalmente, di ceto politico che vuole sopravvivere, nelle forme di un assalto velleitario al potere e di una semplice ondata di outsider; oppure se il progetto è più profondo e siamo davvero alla vigilia di un grande mutamento ventennale, come spesso accade in Italia, paese di conformisti, cortigiani e innamorati delle leadership forti, quelle che finalmente faranno piazza pulita delle ‘chiacchiere’, delle ‘risse’ e delle perdite di tempo della politica e dei partiti. Quando invece si tratta di piegare la testa e fare. Soprattutto piegare la testa. Vedremo.

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