di Lina Lombardo
Penso che alla base del femminicidio ci sia principalmente l’incapacità per alcuni maschi di accettare l’indipendenza delle donne. Le donne, almeno la maggior parte, sono diventate consapevoli del loro valore intrinseco. Lo esercitano con l’acquisizione sempre più ampia di cultura, di capacità personale economica, di libertà sessuale. I maschi, ovviamente e per fortuna, come detto, solo alcuni, indipendentemente dal grado di acculturazione, a dispetto del mondo tecnologico in cui vivono, restano ancora legati, per mancanza di educazione sentimentale ed emotiva, in maniera ancestrale e soprattutto inconscia all’idea che la donna debba essere una loro proiezione, quindi non una persona eguale nei diritti ma oggetto di possesso. Questo pensiero sotterraneo, che si scontra con una realtà contraria, alimenta sentimenti di frustrazione perché mettono in discussione il ruolo di capo, di colui che decide nel bene e nel male. Non avendo più il ruolo che per secoli hanno esercitato e non essendo capaci di adeguarsi alla nuova realtà, si sentono privati oltre che del loro potere, della loro stessa mascolinità, della loro identità, del loro Sé. Questi uomini essenzialmente sono incapaci di amare e avvertono prepotente soltanto il loro bisogno narcisistico dell’altro.
Così quando la donna non risponde ai canoni ancestrali di obbedienza e sottomissione ed esercita il diritto di pensare con la propria testa e pure di allontanarsi quando ritiene di non poter restare insieme a un uomo che la fa sentire un oggetto, in questa tipologia di maschio scatena la sindrome inconscia della perdita del proprio Sè, avvertita come sentimento di abbandono, inadeguatezza e inferiorità che lo induce alla violenza. Violenza che può essere espressa sia verbalmente sia fisicamente e in quest’ultimo caso con la conseguenza possibile e drammatica del femminicidio.
Lina Lombardo
La cronaca
Il 30 novembre non dell’anno mille ma del XXI secolo, si è perpetrata un’ennesima violenza senza ritorno. Una ennesima donna uccisa dal proprio compagno.
A mio avviso compagno è un termine che non dovrebbe essere usato in casi simili.
Non può e non deve essere chiamato compagno un uomo, feroce assassino.
Costui è un uomo che, in primis, non ha fiducia in se stesso, che non si stima e si rispetta. E poiché non si stima è portato a pensare che anche l’altra non possa stimarlo. Quindi trae la sua forza dal ritenere l’altra un suo possesso e dal pensiero che sottometterla sia un suo diritto.
E’ il pensiero di un uomo debole, di un uomo incapace di ammettere con se stesso di esserlo.
In definitiva è un uomo incapace di amarsi e di conseguenza incapace di amare. Un uomo fallito nella sua umanità.
Tanto fallito quanto convinto sia pure un suo diritto uccidere e annunciarlo pure su su fb. Ovviamente per illudersi ulteriormente di essere un duro.
Ha ricevuto tanti “mi piace” ma io voglio pensare e sperare che le persone che lo hanno cliccato, non si siano rese conto della reale violenza e abbiano piuttosto pensato al senso metaforico, seppure molto aggressivo, del messaggio: “Sei morta” per me perché non ti amo più.
Penso che la nostra sia una società malata nel suo complesso poiché ha messo al primo posto l’”avere” più che l’”essere” e pertanto si è resa incapace di farsi carico e risolvere al meglio i tanti, enormi problemi che la affliggono e che precludono una sana, civile convivenza.
Lina Lombardo
“Il 2013 è stato un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise, in pratica una vittima ogni due giorni. Rispetto alle 157 del 2012, le donne ammazzate sono aumentate del 14%. A rilevarlo è l’Eures nel secondo rapporto sul femminicidio in Italia, che elenca le statistiche degli omicidi volontari in cui le vittime sono donne.” Ansa.it



1 commento
DONNE UCCISE
di Fausto Corsetti
Purtroppo non si tratta solo di una maggiore evidenza mediatica di un fenomeno già
esistente. La situazione è davvero grave. Le donne sono tornate a essere le
vittime di una violenza che è prevalentemente maschile. Registriamo una vera
perdita del controllo sia della razionalità sia dei freni inibitori, cioè del
controllo di rabbia e frustrazioni. Stiamo tornando al “selvaggio” dentro di
noi, che se la prende con quelli che nelle civiltà primitive sono i più deboli,
le donne e i bambini. E in questa regressione la donna perde in un istante
tutte le conquiste e i diritti guadagnati in generazioni: gli uomini, infatti,
hanno riconosciuto l’emancipazione femminile solo con la loro parte razionale,
mentre secondo l’istinto la donna è rimasta un “oggetto” sessuale, una
“proprietà” dell’uomo.
Non è rilevante che le donne stiano accrescendo la propria indipendenza. Il vero
problema è che l’uomo sta perdendo il proprio potere sul mondo, non sulle donne
in particolare. La radice del male, la spiegazione di questa preoccupante
violenza non va ricercata nelle donne, ma nella paura. Le donne ne sono
vittime, non causa.
Per capirlo dobbiamo partire dal presupposto che la persona forte non è violenta.
Negli ultimi anni, invece, abbiamo assistito a un aumento della paura che immobilizza, una paura che si ricollega all’incertezza, alla perdita del ruolo, del potere che passa attraverso il denaro. E’ una crisi dell’esistenza, della civiltà, che
sarebbe riduttivo considerare solo economica. La crisi ormai non è più fuori di
noi, ma dentro la nostra testa. La paura legata all’incertezza genera una
condizione di frustrazione, che ha una fase interna (la rabbia) e che quando si
manifesta all’esterno diventa violenza.
Ormai siamo arrivati a un punto in cui la violenza si unisce alla distruttività: non si
sopporta più la situazione in cui si vive e se ne esce con delle stragi
familiari che diventano delle vere apocalissi. E questa violenza incontrollata
viene subita non solo dalle persone più deboli, ma anche da quelle che sono
percepite come tali in quanto ti vogliono bene o ti hanno voluto bene.