Fonte: Il Manifesto
di Giuliano Santoro – 14 giugno 2018
È la prima vera grana giudiziaria per il Movimento 5 Stelle e il macigno porta il nome di Luca Lanzalone. Difficile capire in che modo questa macchia turberà i sentimenti dei sostenitori del «partito degli onesti». Tra le certezze c’è la questione politica: per la seconda volta uno dei «tecnici» chiamati da Virginia Raggi a supportare l’attività della sua amministrazione finisce nei guai con la giustizia. Per di più l’inchiesta che ha condotto all’ordinanza di custodia cautelare a carico di Lanzalone prende le mosse proprio da quella che aveva portato all’arresto di Raffaele Marra. Il nesso giudiziario è tutto da vedere, e persino tra i grillini si scoprono torni garantisti.
IL NODO POLITICO, circa la debolezza di un M5S che ricorre a competenze esterne quando si tratta di accomodarsi nella stanza dei bottoni, è tutto sul piatto. Dal Campidoglio i grillini ricostruiscono i giorni cruciali per la grande opera di Tor di Valle, raccontano di «Mr Wolf-Lanzalone» attivissimo, completamente a suo agio, partecipe alle riunioni della commissione urbanistica. Un vero e proprio assessore-ombra, come ha scritto in tempi non sospetti Paolo Berdini. Anche se all’inizio ci volle un’interrogazione dell’opposizione in consiglio per capire che ruolo rivestisse il futuro presidente Acea. L’avvocato che venne da Livorno, dove aveva lavorato con Gianni Lemmetti, assessore al bilancio anch’egli sbarcato a Roma si mise sotto per trovare una soluzione al dossier stadio. Qualcuno fa riferimento alla decisione, questa tutta della sindaca, di secretare il parere dell’avvocatura circa la possibilità di ritirare la delibera dell’amministrazione Marino sullo stadio. Il progetto doveva andare avanti, i dubbi seppelliti dalla volontà di proseguire in qualche modo.
CI SI MUOVE tra carte bollate anche perché l’ossatura del M5S romano, quello che da piccolo gruppo d’opposizione diede l’assalto al Campidoglio che proprio in questi giorni festeggia i due anni dalla vittoria delle comunali, è fatta da avvocati. Uno di questi è Roberta Lombardi, sfiorata dall’inchiesta e decisa a tirarsi fuori: «Mi auguro che la magistratura porti avanti la sua attività il più celermente possibile, visto che anche un nostro esponente politico, il capogruppo in Comune Paolo Ferrara, è stato coinvolto in questa inchiesta». Lombardi manda un messaggio preciso: «Non sottrarci anche a quella che è una responsabilità politica è la vera cifra distintiva tra noi e gli altri». E Luigi Di Maio con Lanzalone si era accompagnato al meeting di Cernobbio e all’avvocato genovese catapultato ai vertici di Acea avrebbe affidato il rapporto col mondo dell’impresa che il M5S di governo ha cercato molto negli ultimi mesi.
Nelle sue vesti di «capo politico», Di Maio adesso sottopone il caso e le posizioni di ciascuno dei grillini coinvolti ai probiviri. Il M5S vive comunque un momento di trasformazione: ha sacrificato i suoi uomini più in vista all’impegno di governo, deve trovare nuovi assetti e dai territori chiedono maggiore coinvolgimento a partire proprio dalla trincea onerosa degli amministratori locali.
Virginia Raggi ha fatto esperienza del voto di midterm di domenica scorsa. Puntava tutto sul progetto dello stadio per rilanciare la sua immagine, rafforzata dalla sponda del governo nazionale e appena offuscata dalle sconfitte dei candidati grillini alle municipali. Adesso, rilanciando la linea che arriva dai vertici nazionali, promette: «Chi ha sbagliato pagherà».
TRA UNA SETTIMANA, però, lei stessa dovrà fare i conti con l’udienza sul caso delle nomine legate a Salvatore Marra. In Campidoglio ieri si è riunita la maggioranza, che avrebbe preso atto dell’autosospensione di Ferrara senza polemizzare: «Piena fiducia nella magistratura, noi siamo dalla parte della legalità – scrive in una nota il M5S capitolino – Siamo certi, come lo è anche Paolo, che la magistratura dimostrerà la sua totale estraneità ai fatti». «Tutti sono innocenti fino a prova contraria», dice anche Gemma Guerrini, una delle poche voci critiche sullo stadio. Intanto, gli uffici comunali e l’avvocatura capitolina cercano di capire che fine faranno, con la società costruttrice commissariata, lo stadio dei sogni e la gigantesca colata di cemento che l’accompagnava.



1 commento
Il caso dello stadio di Roma squarcia il velo sul principio base della “weltanschauung” grillina: ogni “quisque de populo” può governare le istituzioni dello Stato ad ogni livello senza alcuna dote, conoscenza, cultura, competenza ed esperienza politica purché sia “italianamente” (e lo sottolineo!) onesto.
Un inciso: l’onesta dell’uomo pubblico è un prerequisito non è una dote – e lo richiede espressamente anche la nostra Costituzione.
Nessuna persona conosciuta come non onesta dovrebbe mai essere candidata e, se lo fosse, mai ricevere i voti dai cittadini che – teoricamente – dovrebbero ritenere il prerequisito dell’onestà, dignità ed onore come connaturale alla funzione pubblica.
Tornando al principio grillino del “quisque de populo” esso si fonda sull’assunto che l’onestà (teorica e non provata) sia condizione necessaria e sufficiente per governare senza nessun’altra competenza essendo questa affidata ai tecnici (magari amici o amici degli amici) che si sceglieranno per affrontare i diversi problemi di amministrazione.
Sull’onestà e capacità dei tecnici, non essendo in grado i governanti di valutarla e controllarla (non avendo alcuna conoscenza e competenza politica), vigileranno altri tecnici esterni che siano poliziotti o magistrati o, addirittura, infiltrati e agenti provocatori.
Questi che sono dei tecnici, a loro volta, dovranno essere valutati e vigilati da altri tecnici, che a loro volta dovranno essere valutati e vigilati da altri tecnici e così via in una catena infinita.
Questo perché è venuto meno il criterio della “responsabilità politica”: l’uomo politico è quello a cui i cittadini hanno affidato il compito di governare il che comporta programmare, progettare, dirigere, valutare, vigilare e non semplicemente affiancarsi a “chi sa le cose”.
Il sapere e l’expertise tecnica non sono mai neutri o irrilevanti.
Ma il sapere e le competenze tecniche sono politica, perché non c’è politica intesa come un marchio separata dalla gestione del governo, non sono tutti interscambiabili purché si sia “tecnici”.
E non serve nessuna falsa “democrazia diretta”, l’eletto ha la responsabilità politica e di questa deve rispondere: il paradosso nella vicenda romana è che ha indicare alla sindaca il nome di Lanzalone è stato proprio l’attuale Ministro per la “democrazia diretta”, Fraccaro!
Il caso romano pone un’inquietante questione: chi governerà lo Stato per i 5 Stelle? Il sovranista Salvini che con azioni dimostrative farà una campagna elettorale continua in clima di pura conservazione senza provvedimenti economici e sociali incisivi fino a che non riterrà conveniente staccare la spina per nuove elezioni? Oppure i “tecnici” che gli inconsistenti ed incompetenti ministri pentastellati si metteranno attorno?
È evidente il rischio sistemico che si possa riprodurre a livello nazionale la triste e tragica situazione romana.