Autore originale del testo: Massimo D'Alema
Giovanna Ponti
Chi mi legge sa che io non concordo con D’Alema sugli aiuti militari, che comunque lui non nomina ma condivide implicitamente, ma leggetelo tutto e cercate di capire cosa dice di quello che si doveva e poteva fare per evitare la guerra, delle democrazie che, sbagliando, si contrappongono alle autarchie, del ruolo degli Stati Uniti, di quello che dovremmo volere per il futuro dell’Europa, delle sinistre, della coesistenza pacifica
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Seconda giornata Congresso nazionale Articolo Uno 24 aprile 2022
Intervento integrale di Massimo D’Alema – trascrizione di Giovanna Ponti
“Vorrei dire una sola cosa sul tema più legato alle prospettive politiche italiane e cioè che condivido il messaggio unitario che viene da questo Congresso, e cioè l’idea di portare l’esperienza di Articolo 1 dentro un processo di ricostruzione di una sinistra democratica forte per l’avvenire del Paese.
Ma vorrei concentrare il mio intervento sul tema grande della guerra e dello scenario internazionale nel quale si colloca anche la vicenda politica italiana.
Non c’è dubbio che il dibattito di questo Congresso sia condizionato da una tragedia destinata a segnare in modo profondo non solo la vicenda attuale, ma direi la storia e il futuro dell’Europa. Questa è una guerra europea, nel resto del mondo la si guarda con maggiore lontananza.
Non c’è motivo di indulgenza o di comprensione verso l’aggressore. Putin è stato, non a caso, un punto di riferimento fondamentale della destra europea e davvero sarebbe incomprensibile e persino sciocco in questo momento avere incertezze, favorire il gioco di una destra che cerca di nascondere le tracce della sua relazione politica, culturale e non solo, con Putin.
La brutalità di questa aggressione, la ferocia contro la popolazione civile ha finito per oscurare le ragioni stesse della Russia, che pure vi erano, e per condannare la Russia ad una prospettiva oscura, di marginalità nel contesto della comunità internazionale.
Si dovrebbe dire che questo è l’esito dei nazionalismi e dei sovranismi e dovrebbe servire da monito a tutti in Europa.
Il nazionalismo è l’incubatore della guerra e la tragedia dell’Ucraina dimostra questa verità storica.
Oggi il dovere della Comunità internazionale è fermare l’aggressione, fermare la guerra.
Devo dire che non mi convince lo strano dibattito su chi debba vincere o chi debba perdere. Fatico a capire cosa voglia dire perdere una guerra contro una potenza nucleare, ma credo si possa dire che Putin la guerra l’ha già persa anche per la capacità di resistenza dell’Ucraina.
Una resistenza che era giusto sostenere anche dal punto di vista di chi vuole la pace e di chi vuole una soluzione politica.
La strada per una pace giusta può essere aperta solo dalla capacità dell’Ucraina di difendersi di fronte all’aggressore.
Putin ha perso, ha perso perché questa guerra sarà un ulteriore allargamento della Nato in Europa, probabilmente inevitabile, giustificato se Paesi di tradizione storica neutrale, come la Finlandia e la Svezia si avvicineranno alla Nato. E’ la paura.
E più a fondo, la frattura con l’Europa condanna la Russia ad una marginalità e pone questo Paese dentro un’area di influenza cinese. Il ruolo internazionale della Russia dipenderà dalla volontà della leadership cinese.
C’è da domandarsi in che misura sia interesse dell’Europa avere consegnato un pezzo dell’Europa all’egemonia cinese e che cosa l’Europa avrebbe potuto fare , non ora, ma negli ultimi trent’anni per evitare un esito di questo genere.
Oggi l’obiettivo è la pace che vuol dire non un armistizio precario che lasci aperta una ferita insanabile , un cessate il fuoco, ma un negoziato vero. E la portata delle questioni che devono essere risolte per avere la pace è tale da far sì che un negoziato vero non può essere consegnato esclusivamente al dialogo fra Russia e Ucraina, ma coinvolge inevitabilmente altri protagonisti, per costruire una pace sostenibile, cosa che è dovuta non solo al popolo ucraino, ma anche al popolo russo che al di là di Putin continua ad esserci ed è un interlocutore essenziale per l’Europa.
Questo significa offrire anche alla Russia quel quadro di sicurezza condivisa che non siamo stati capaci di offrirle negli ultimi trent’anni.
Occorre una nuova Helsinki.
Cosa fu Helsinki?
Fu un accordo per la sicurezza in Europa in un mondo diviso.
Ma quando quell’assetto, quello della guerra fredda, venne meno, non si è costruito un nuovo assetto condiviso, ma si è pensato, sbagliando, che la sicurezza europea fosse assicurata dalla espansione dell’Occidente, della Nato.
Così non era.
E il tema di come un’Europa più larga conviva con la Russia è un grande tema di sicurezza condivisa.
Questa è una delle condizioni perché ci sia una vera pace.
Nel corso di questa guerra in questi giorni, viene avanti una visione che noi dobbiamo apertamente discutere, anche se non è facile in una situazione in cui il pensiero critico sembra non avere diritto di cittadinanza.
Viene avanti l’idea che un nuovo assetto internazionale debba incardinarsi sulla contrapposizione, su una sorta di guerra perpetua tra la democrazia e l’autarchia.
E’ una visone inquietante, una sorta di teoria della inevitabilità della guerra.
Io vengo da un partito che combattè la teoria della inevitabilità della guerra quando essa si affacciò nel mondo comunista.
E’ una visione inquietante non solo perché sarebbe esiziale per l’Europa, che rimarrebbe inesorabilmente in questo conflitto, ma a mio giudizio anche controproducente per gli Stati Uniti.
Io sento la preoccupazione che un’amministrazione democratica cui avevamo guardato con grande speranza e che avrebbe dovuto volgersi innanzitutto a sanare le ferite interne alla società americana, finisca dopo anni burrascosi e brevi, in un annunciato ritorno di Trump che sembra essere la prospettiva.
La storia ci dice che in un mondo lacerato dai conflitti, in un mondo di guerra, vive molto meglio la destra, il nazionalismo, e la guerra e la destra si alimentano a vicenda, e ho dei dubbi che la fragilità della democrazia, che pure è così evidente, derivi dalla aggressione degli autocrati quanto piuttosto invece dalle debolezze delle società democratiche.
Tutti noi oggi speriamo che Macron riesca ad arginare Le Pen, direbbero i francesi “faute de mieux”, tuttavia lasciate che osservi che nel primo turno delle elezioni francesi il 70% degli elettori ha votato per formazioni politiche che non sono schierate contro Putin per un verso o per l’altro, e il Presidente che noi speriamo venga eletto, ha avuto il consenso di un elettore su cinque, una base di consenso che appare piuttosto ristretta per una grande democrazia.
Io penso che questo debba preoccuparci e pensare che la democrazia superi la sua crisi mettendosi l’elmetto è una visione semplicistica che può essere totalmente disastrosa per le forze democratiche e per le sinistre tra le quali noi ci riconosciamo.
Le basi di consenso si allargano se la democrazia torna ad essere quella grande forza capace di offrire speranza, prospettive di vita, di promozione sociale e questo richiede una visione delle relazioni internazionali nella quale torni ad essere essenziale un’espressione antica, cioè l’esistenza della coesistenza pacifica fra civiltà diverse, fra regimi diversi. E’ nella coesistenza pacifica che le democrazie hanno vinto e non nella guerra.
E’ in questo quadro che le democrazie possono tornare ad essere attrattive e questa dovrebbe essere la missione dell’Europa.
L’Europa dovrebbe porre questo grande problema agli americani che non significa rompere le ragioni di una alleanza storica, ma di discutere del futuro dell’Occidente e di come l’Occidente, che non è riuscito ad occidentalizzare il mondo, in questi trenta anni, dopo la caduta del muro di Berlino, si confronta con il mondo così come è, senza ideologismi e anche quello di dire “le democrazie contro le teocrazie” è un ideologismo.
La più grande democrazia del mondo, che è l’India, non applica sanzioni contro la Russia, giusto o sbagliato che sia, e sbagliato probabilmente, è la realtà perché c’è un mondo che guarda a questo conflitto con maggiore distacco, anche perché l’Europa spesso ha guardato con distacco le tragedie che hanno riguardato quel mondo.
Io penso questo, ed io non ho mai condiviso l’ideologia del pacifismo che è cosa nobile ma non è una nostra tradizione, io penso che occorra una strategia pacifica capace di reimpostare il dialogo con gli altri mondi e le forme di collaborazione con altri mondi.
E’ una necessità per l’Europa e una necessità per la sinistra.
In questi giorni la Cina ha tenuto una politica saggia, ha cercato di non farsi coinvolgere nel conflitto.
Questo è il mondo grande e terribile nel quale viviamo, ma penso che una forza politica che non vuole essere un gruppetto ma parte di un movimento di governo, debba avere una strategia per ricostruire un ordine mondiale che non sarà il nostro, ma sarà quello nel quale noi sapremo convivere con gli altri, comprendendo le differenze e regolandole insieme in modo pacifico”.



