di Alfredo Morganti – 11 settembre 2018
Oggi Federico Rampini spiega, su Repubblica, che l’immigrazione incontrollata genera quell’insicurezza, da cui nasce, alla fin fine, il voto xenofobo a destra. Peraltro, dice sempre Rampini, il welfare è in crisi e funziona meglio se la platea sociale è ‘familiare’, e omogenea per valori e cultura. Ergo, la sinistra deve porre un freno all’immigrazione, perché è la causa di una crisi di protezione sociale che spinge il consenso a destra, proprio verso gli xenofobi.
Sulle stesse pagine, Thomas Piketty spiega che è il liberismo antisociale a rafforzare i sovranisti e la destra. E finché l’Europa non svilupperà politiche di sostegno sociale, le cose non cambieranno. L’economista francese rileva come la retorica anti-tasse, l’austerità, le rigide regole di bilancio producano un’inevitabile sofferenza sociale e consentano, per prime, una saldatura ideologica tra politiche anti-immigrazione e questa stessa sofferenza. Lascia intendere che se vi fosse un effettivo sostegno al disagio, se si rafforzasse il welfare, se fosse possibile avviare concrete politiche di bilancio (per prima spetterebbe all’Europa) di sostegno sociale, di certo non avverrebbe la saldatura tra protesta e insofferenza xenofoba cui oggi assistiamo, e le fortune politiche dei gialloverdi sarebbero di certo inferiori.
A chi dar ragione? Perché le due analisi sono l’opposto: da una parte sarebbe l’immigrazione a ingenerare consenso a destra, perché inciderebbe su un welfare già immiserito e perché scatenerebbe una classica lotta tra poveri. Dall’altra, sono le politiche sociali (europee e statali) a restringere la coperta di protezione, ingenerando il risentimento nella platea sociale più disagiata. Gli ultimissimi divengono così i capri espiatori di una situazione interna sempre più difficile, anche perché amplificata dai media e dagli xenofobi a livello percettivo.
Io sono portato, per carattere, a ritenere che siano le scelte politiche a determinare le risorse e la loro dislocazione, non viceversa. A ritenere che il welfare sia in crisi perché i nemici del welfare da trent’anni stanno drenando tutte le risorse verso il versante privato, impoverendo la ricchezza pubblica e sociale. Che poi vi sia chi è più virtuoso, meno sprecone e più onesto nell’amministrare le sempre più scarse risorse di bilancio, e chi meno, è un altro paio di maniche. Il fatto certo, indubitabile, è che il versante privato ha dragato nel proprio campo un’incommensurabile enormità di ricchezza, sotto il segno della riscossa neoliberista e della ideologia anti-tasse che ha segnato questi decenni. Oggi talune imprese valgono più del PIL di un’intera nazione.
Che fare? Intanto, prendersela con chi ha lavorato all’impoverimento della ricchezza sociale, non con i poveri che sbarcano dai gommoni. L’umanità viene prima. Mi sembra il minimo sindacale. Secondo, puntare al riavvio di una grande politica di sostegno e di welfare, tale che anche l’accoglienza e l’integrazione se ne giovino. Si tratta di riportare nel campo pubblico una quota ampia di risorse che oggi, invece, infarciscono enormi patrimoni privati. La riduzione del disagio sociale (lavoro, istruzione, sanità, sicurezza) significherebbe anche una riduzione dell’inquietudine popolare che oggi frana a destra. E che le cose stiano così lo dimostra la destra xenofoba stessa, che dopo tanto tergiversare alla fine sceglie sempre di smantellare lo stato sociale e di affamare il pubblico (magari con una bella flat tax). L’immigrazione è solo la scusa, gli intenti sono altri. Se noi lavorassimo a potenziare il welfare invece, e se consentissimo una maggiore sicurezza sociale, anche gli immigrati perderebbero quel carattere di incubo che spaura la percezione di molti, ben oltre la consistenza effettiva della realtà. E sarebbero davvero possibili, non a chiacchiere, le politiche di sostegno e cooperazione internazionale che oggi sono una finzione da politicanti, se non una truffa. Dietro un reddito di cittadinanza sempre più ridotto c’è sempre una pace sociale e poi una flat tax. Un’alleanza degli ultimi è sempre la soluzione migliore. Chi traccia una linea netta e insuperabile tra povero e povero, tra ultimi e penultimi, tra uomo e uomo, in fondo, lavora per il Re di Prussia. E non è una cosa di sinistra.


