Dinanzi alla tragedia del terremoto, teniamo gli occhi spalancati

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 26 agosto 2016

Dinanzi alla tragedia del terremoto, teniamo gli occhi spalancati, non solo le braccia, non solo il cuore

I disastri nazionali, le tragedie umanitarie, i grandi dolori collettivi, quelli che colpiscono la carne e l’animo di tutti sono subito, immediatamente utilizzati quale sfondo e contesto per intessere delle operazioni politiche. È un riflesso pavloviano, talvolta non c’è nemmeno un dolo evidente. Viene spontaneo, naturale cogliere l’attimo per tentare una svolta salva-guai e proporre una nuova pacificazione nazionale, un’unità che vada oltre le divisioni e le polemiche “politiche”. Come se la politica fosse sempre il male, quella che divide, quella che mette faziosamente gli uni contro gli altri. Mentre solo l’etica, la bontà d’animo, il senso di umanità tenderebbero a unificarci in termini di fratellanza vera. È il refrain anche di questi disgraziati giorni di terremoto. Da una parte Berlusconi che dice ‘Forza Italia, Forza Renzi’. Dall’altra il premier che convoca conferenze stampa per chiedere di unirsi tutti per superare le polemiche politiche in nome del bene del Paese. Entrambi in chiare difficoltà politiche, lavorano forse a un Nazareno 2 foriero di una possibile non-belligeranza referendaria.

Ma perché dovremmo unirci in un unico afflato? Perché imbarcarci in una sorta di ‘volemose bene’? L’Italia è stata colpita da un evento nefasto, Il Paese, come sempre avviene, si è rivolto con pietas, con disponibilità, con attenzione verso la parte di sé che più soffre. Ci sono volontari, ci sono risorse, ci sono mezzi tecnici, c’è cura, amore, c’è passione e sofferenza collettiva attorno all’evento. L’Italia piange e scava. E tutti i pensieri vanno a quelle disgraziatissime terre rovesciate. Non è la prima volta che accade, accadrà ancora. Dopo il disastro ci sarà la ricostruzione, che si spera sia nei tempi più brevi possibili, per alleviare il dolore, la sofferenza e il senso di sradicamento dei nostri concittadini colpiti. Serviranno risorse, e se sarà necessario si toglieranno da altri capitoli di bilancio e si impegneranno tutte nella ricostruzione: sarà giusto e doveroso. Così come sarà indispensabile controllare e vigilare che quei soldi non finiscano nelle mani di funzionari e imprese senza scrupoli, di modo che la legge sia rispettata. Ma detto questo, il terremoto non è una guerra, non siamo attaccati da un nemico che minacci la nostra sicurezza e la democrazia (almeno si spera). Col terrorismo, d’altra parte, tentiamo eccezionalmente di convivere, mentre i nostri apparati di sicurezza lo combattono. Anche perché tutti si affannano a dire che bisogna continuare a vivere nelle normalità, senza farci prendere da eccessi di paura o, peggio, dal panico.

E allora? Abbiamo un governo che deve governare e occuparsi anche dei disastri nazionali e delle grandi tragedie, non solo dei bonus da 80 euro. Se servono le risorse le trovi subito (senza cogliere sempre l’occasione per invocare flessibilità o extrabudget europei, perché sennò sembra che l’interesse primario sia l’extrabudget e non il terremoto, o la cultura, o la tragedia degli sbarchi), e si rimbocchi le maniche per la ricostruzione (che al soccorso immediato ci stanno già pensando – e bene – la Protezione Civile, l’esercito, i volontari). Non servono foto opportunity, non serve tuffarsi a peso morto nello spettacolo del dolore e della commozione per trarne vantaggi di immagine o emozionare (secondo i dettami delle neuroscienze applicate alla competizione politica), né servono le conferenze stampa a raffica, la retorica dei volontari che sono belli oltre che bravi (ma chi glieli scrive i testi?) e neppure il proclama che nell’emergenza siamo bravissimi, i primi in Europa. Mai come adesso serve il ‘fare’, non le chiacchiere e le pose teatrali, e poi una grande politica, quella sì, di ricostruzione e di messa in sicurezza.

A proposito di questo: quando ci sono i morti ancora sotto le macerie, io direi di lasciar stare lo schema di comunicazione-politica per il quale bisogna sempre vantare meriti, essere i primi, mostrare un’incontrollata fiducia, indicare classifiche di merito, proporre un petto stracolmo di medaglie. Non è così. Almeno nel dolore si resti sobri. Si faccia politica, invece di comunicazione. E, soprattutto, non si invochino tregue, né si dileggi la politica stessa come fonte di faziosità e divisioni. Solo la politica unisce, in realtà, e la critica democratica è un pezzo consistente, decisivo, di unità nazionale, altro che! Perché è nei momenti più gravi che bisogna vigilare, impedire la rinascita di patti segreti, tenere gli occhi aperti, segnalare i furbetti. Dietro l’angolo sennò c’è un altro Nazareno, c’è una pietosa e interessata invocazione di unità, c’è l’inciucio (fatemi usare questa parola, grazie) e c’è, in sostanza, la ‘curvatura’ opportunistica del dolore personale e collettivo. Il governo governi (d’altronde è giunto a Palazzo Chigi pure sgomitando!), sta lì per questo e non per fare il bellimbusto o chiedere un abbraccio collettivo e il silenzio della critica, quando c’è invece da tenere, oggi più che mai, gli occhi spalancati, non solo le braccia, non solo il cuore.

 

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