Disunire invece di unire: è questo il pensiero unico della destra.
Avrete visto senz’altro “Joker” di Todd Phillips. Il film termina con le immagini di una rivolta sociale. In questi giorni Sky sta mandando “mother father son”: anche qui la trama presto divampa in una rivolta, mentre un candidato populista lavora apertamente sulla contrapposizione tra “popolo” e “classi dirigenti”. Mi è venuto in mente anche il finale de “Il Caimano” di Nanni Moretti, e quell’ultima scena in cui si invoca la reazione del popolo contro i giudici, dopo di che volano le molotov. C’è un filo rosso che lega questi tre prodotti mediali, ed è il tentativo di raffigurare plasticamente una cesura e una contrapposizione rivoltosa tra soggetti sociali, e tra questi ultimi e le istituzioni (o la politica in genere).
Esagerazioni mediali? Niente affatto. Gli USA di queste settimane sono la scena reale in cui la rivolta e la protesta prendono corpo con esiti drammatici, che si sommano a un contesto per di più pandemico. Chi soffia sul fuoco? Chi disunisce? Chi spinge alla rivolta? La destra. Quella sovranista, populista, quella che apre fenditure politiche sociali nell’auspicio che ciò possa essere utile alla sua scalata al potere oppure al suo mantenimento. È la destra che incendia le polveri, che interpreta la politica come divisione caotica e sregolata del conflitto, come magma sociale che erutta in direzione dell’insurrezione di strada. Ma questo è Trump, sintesi perfetta di come si governa un Paese dividendolo, contrapponendolo, mettendone un pezzo contro l’altro.
La politica “unica” della destra punta alla divisione del fronte sociale, a spezzare la coesione, a restituirci cittadini risentiti l’un l’altro. L’obiettivo è indebolire le istituzioni, dividere il fronte democratico, lasciare gli individui soli con se stessi e capaci solo di odiare l’altro. Questa cosa è palmare anche in Italia, non è necessario che mi dilunghi. Quest’idea populista di disintermediare le istituzioni e la dialettica democratica, di disarticolare i corpi intermedi, di ridurre la dialettica sociale all’odio e al conflitto spurio (accarezzata anche da una parte della sinistra o presunta tale), viene raffigurata dai media con sempre meno timidezza. L’arte, quando è arte, coglie le dinamiche sociali con una purezza davvero cristallina. Persino anticipante. Così è stato per i tre prodotti che vi dicevo.
Che fare? Che cosa deve fare la sinistra? Quello che fa da sempre: riunire invece di dividere, difendere le istituzioni invece di infangarle, tenere assieme la dialettica sociale, dare voce ai frammenti invece di scagliarli tra loro e contro il resto della società. È quello che ha tentato il governo Conte durante la pandemia, e dobbiamo rendergliene merito. Non oso pensare a un Trump italiano, non oso immaginare i danni che avrebbe provocato (l’epidemia in USA è ancora fuori controllo). Non si tratta di far tacere il conflitto sociale, ma di regolarlo, di renderlo produttivo, di indirizzarlo in senso democratico, di renderlo capace di cambiare davvero le cose, per accrescere la forza delle istituzioni non per abbatterle. Non si tratta di scagliare il cosiddetto popolo contro le cosiddette élite, ma di unificare i lavoratori e i cittadini in una “giusta” opera di cambiamento. Quella è la destra, questa la sinistra. È così semplice, che quando sento che “destra e sinistra non esistono più”, mi viene normale pensare che questo sia, appunto, un pensiero di destra. Che si auto-smentisce da sé.


