Draghi come Tremonti: nasconde la mano che ha lanciato il sasso

per mafalda conti
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos
Draghi come Tremonti: nasconde la mano che ha lanciato il sasso
Prima di cominciare chiedo scusa per il fatto che citerò me stesso (libri “Il Grande Bluff. Il Caso Tremonti” e “Chi e Cosa ci hanno ridotti così”).
Vi ricordate Tremonti? Vi ricordate che a un certo punto indossò il saio dell’antimercatista? Ebbene io svelai che si trattava di un’impostura in quanto il libro-manifesto del mercatismo più estremista portava proprio la sua firma, lo si capiva già dal titolo: “Lo Stato Criminogeno” del 1997, dove veniva sostenuto che l’intervento dello stato nell’economia serviva solo a generare il crimine e che «Il vero giudice dell’attività produttiva è il mercato: il meccanismo capitalistico è complesso come un meccanismo a orologeria» e quindi non va minimamente disturbato. In quel libro si trovavano anche altre perle come questa: «[l’evasione fiscale] si configura come reazione al minusvalore statale, come forma di utilizzo razionale della ricchezza, alternativo rispetto all’irrazionalità statale». E questo signore era già stato ministro delle finanze della Repubblica Italiana, e lo sarebbe stato ancora in futuro, e quindi possiamo renderci conto di come combatteva (si fa per dire) l’evasione. Ma non tutti hanno letto i miei libri (pare però che l’abbiano letto i suoi ex colleghi di governo tant’è che Tremonti è finito politicamente) e quindi ancora oggi c’è qualche anima pura che crede a Tremonti come antimercatista e fustigatore del mercato.
Veniamo ora a Draghi. Chiedo subito scusa al nostro capo del governo per averlo accostato a Tremonti. Tra i due c’è un abisso sul piano scientifico e culturale: Draghi l’economia la conosce, anche se è quella neoliberista, Tremonti è un poveretto le cui conoscenze sono superficiali e posticce, origliate e raccolte qua e là nei convegni e messe insieme alla rinfusa e spesso con spregio del principio di non contraddizione. L’accostamento da parte mia si riferisce al fatto che anche lui, come il parolaio magico di Sondrio, sta cercando di farsi una verginità (a parole) che è il caso di smascherare.
In un meeting a Barcellona qualche giorno fa Draghi ha detto: «Nel recente passato ci siamo dimenticati dell’importanza della coesione sociale … Abbiamo dato la democrazia per scontata e abbiamo ignorato il rischio del populismo» e giù altre considerazioni sui poveri, sui disoccupati, e altro. Questo è bastato per far scrivere a Ezio Mauro su Repubblica che «Draghi infatti ha legato insieme l’austerità, l’esclusione sociale, la corrosione della democrazia e la nascita del populismo» cui lui, ovviamente, sarebbe contrario.
Purtroppo uno dei difetti di noi italiani è quello di avere la memoria corta o, peggio, quando facciamo il tifo per una persona, di leggere solo le cose che ci confermano nel nostro credo. Eh sì, perché va detto che Draghi è stato uno dei maggiori sostenitori e propugnatori dell’austerità, proprio sul piano ideologico, non solo della prassi, e per dimostrare questo dobbiamo andare a un’intervista che egli rilasciò al Wall Street Journal del 23/2/2012 (quindi già era presidente della Bce) nel quale viene declinato il suo credo ideologico e scientifico. Per motivi di spazio non posso citare ampiamente quell’intervista (rinvio al secondo dei miei libri citati in apertura) mi basta riprendere alcuni concetti sostenuti con fermezza da Draghi: 1) non c’è alternativa all’austerità per rientrare dal debito e l’austerità crea da sola e automaticamente il circolo virtuoso che porta alla crescita (“austerità espansiva”); 2) “Il modello sociale europeo è morto”; 3) noi europei prima della crisi eravamo abituati a essere pagati senza lavorare, ripetendo, con goduria: questo è morto (ovviamente lui invece che vendeva prodotti Goldman Sachs e guadagnava tanti soldi, lui sì che lavorava. Uh, come lavorava!).
Questo è il “Draghi pensiero” che ho ritenuto doveroso riprendere, sia pure sinteticamente, a beneficio di tutte quelle anime buone che credono a un Draghi “keynesiano”, “allievo di Caffè”. sostenitore “dell’economia sociale di mercato” e altre amenità del genere. Pensate che qualche giorno dopo quell’intervista l’allora ministro tedesco dell’economia Schauble sentì il bisogno di fare al El Pais questa dichiarazione: «Il welfare state è a un livello più alto di ciò che potevano sognare le generazioni che ci hanno preceduto. Una politica finanziaria sostenibile è fondamentale per la crescita economica, con la quale MANTENIAMO il welfare state», con evidente riferimento al requiem che a quel sistema aveva recitato il nostro Supermario. Pensate un po’, esser ripreso a sinistra da Schauble.
Quindi, se la situazione attuale è quella che è lo dobbiamo anche a Draghi. E questo non promette bene per il futuro, al di là delle “parole” che hanno commosso Mauro.
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