Elezioni in Libia: una transizione democratica incompiuta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Mignone
Elezioni in Libia: una transizione democratica incompiuta

Il 15 dicembre, a pochi giorni dalla data stabilita per le elezioni presidenziali in Libia, il Ministro degli esteri russo Lavrov ha fatto sapere che non esiste problema se le elezioni vengono rinviate. Russia, Egitto, Francia in qualche modo monitorano, se non intervengono, nella situazione politica libica. L’Italia è invece impegnata a discutere solo di politica interna. Lo stesso giorno una delegazione della Camera dei Rappresentanti di Libia è stata ricevuta ad Ankara dal presidente turco Erdogan.

Lo stesso giorno la Commissione Elettorale Nazionale libica (HNEC), d’intesa con la Camera dei Rappresentanti (HoR) ha reso noto il rapporto finale sul procedimento elettorale, cercando di mettere ordine al caos delle candidature e alla fragilità del processo elettorale. In particolare, ha cercato di mettere un punto sulla questione delle candidature prima rigettate, poi riammesse a seguito di vari ricorsi. Le più note di queste candidature controverse riguardano il figlio di Gheddafi (Saif al Islam) e il generale Khaifa Haftar. Rapporto che sottolinea difficoltà e ostacoli incontrati in questi mesi di campagna elettorale. La numerosità delle candidature, una novantina per le presidenziali e quasi 5400 per le elezioni presidenziali del febbraio 2022, non aiuta la democraticità del processo elettorale. In qualche modo vengono disattese sia la roadmap approvata nel Forum per il dialogo politico in Libia, e inclusa nella risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU No. (2570) del 2021.

Tre fatti accaduti nello stesso giorno che la dicono lunga sulle difficoltà per le elezioni e sul peso degli attori internazionali sulla politica interna.

Il documento della HNEC

La Commissione nel trasmettere il rapporto alla Camera da un lato cerca di legittimare il processo elettorale come democratico e trasparente, ma in realtà lascia la responsabilità di decidere l’eventuale rinvio delle elezioni. Anche perché il Rapporto non verrà pubblicato! Forse non si sbilancia sul fatto che alcuni candidati sono ricercati dalla Corte penale internazionale de L’Aia, altri hanno presentato documenti falsi, altri hanno doppia cittadinanza, altri sono stati riammessi a seguito di sentenze e contro il parere della Commissione. Quindi il dubbio è su chi si troverà col cerino acceso in mano per rinviare le elezioni. Certo la Camera può esercitare questo potere. Ma un rinvio potrebbe suggerire il timore di ulteriori rinvii e quindi il differimento sine die dell’avvio di istituzioni democratiche nel paese. Soprattutto dopo le speranze suscitate lo scorso anno con gli accordi per le elezioni. Il risultato potrebbe essere un nuovo vuoto politico che ridarà fiato ai nemici della stabilizzazione democratica del paese. Peraltro, va ricordato che su oltre sette milioni di elettori, si son registrati solo poco più di 3 milioni.

Pare che i libici e la comunità internazionale siano uniti dietro le elezioni. Ma, a dispetto di questo schieramento per le elezioni, rimane una competizione a somma zero per la continuità nella gestione del potere. In più il peso e le interferenze di attori internazionali interessati.

I loghi per le elezioni

Presidenziali                 Parlamentari

Quindi, le elezioni sembrano paradossalmente creare più problemi che soluzioni per una transizione democratica tuttora incompiuta.

Le elezioni presidenziali e legislative sono state concepite come la pietra angolare di una tabella di marcia politica, sostenuta dalle Nazioni Unite, il cui obiettivo è porre fine alla perdurante crisi e guerra civile libica, il cui inizio risale al febbraio 2011. Queste rappresentano, poi, un ulteriore tassello del percorso di transizione democratica intrapreso dal Paese a seguito del cessate il fuoco siglato a Ginevra il 23 ottobre 2020, nel quadro del Comitato militare congiunto 5+5, un organismo composto da delegati di entrambe le parti belligeranti, l’LNA e il precedente governo di Tripoli. È del 5 febbraio 2021, invece, la nomina delle nuove autorità esecutive temporanee da parte del Forum di dialogo politico, tra cui quella di Mohamed al-Menfi come capo del Consiglio presidenziale, mentre è del 10 marzo il voto di fiducia al governo ad interim, guidato da Abdulhamid Dabaiba. Un clima incerto, cui non aiutano norme incerte, lacunose e imprecise.

Occorre premettere che la legge elettorale ribalta la simultaneità del voto presidenziale e di quello parlamentare prevista dalla risoluzione Onu 2570, esponendo il processo elettorale a un deragliamento in corsa. È opinione diffusa che il quadro normativo sia cucito su misura per Haftar o per far saltare il banco e permettere, nel caso, al Parlamento di Tobruk di sopravvivere, facendo permanere la spaccatura tra Est ed Ovest. Uno scenario che non dispiace a Russia e Turchia, azionisti di riferimento dello scacchiere libico che puntano a conservare lo status quo e finanziatori di migliaia di foreign fighters di compagnie militari private, come la Wagner Group per la Russia, presenti sul territorio libico (stimati in circa 20.000).Così Ankara può utilizzare l’ovest come piattaforma di controllo della sponda sud del Mediterraneo, e Mosca con i mercenari di Wagner, proseguire la penetrazione verso il sud della Libia e il Sahel.

Peraltro, la legge stessa crea confusione, ad esempio, nel definire i criteri di ammissione delle candidature, come nel caso del giovane Gheddafi. La norma dice che per non essere ammesso deve sussistere una condanna in via definitiva, mentre per la maggioranza dei giuristi quella di Saif non lo è. Altro aspetto che mostra la fragilità dei presupposti del voto del 24 dicembre è il parere espresso da alcuni Paesi europei a Parigi, a partire dall’Italia, secondo cui il voto è necessario, ma affinché sia utile, credibile e condiviso deve svolgersi in condizioni accettabili dal punto di vista non solo procedurale ma anche ambientale. E che segna la differenza rispetto a Francia ed Egitto (sponsor della Cirenaica) sostenitrici del voto a prescindere, forse spinte dalla convinzione di poter incassare il risultato che è stato mancato con la guerra. Ed ora la Libia che rischia di essere ostaggio di un voto capestro che nella peggiore delle ipotesi potrebbe generare nuove divisioni istituzionali foriere di nuove tensioni militari.

Foto di gruppo della Conferenza per la Libia a Parigi

World leaders gathered for an international conference on Libya, including Germaan Chancellor Angela Merkel, French Presiden Emmanuel Macron and Italian Prime Minister Mario Draghi
A sinistra, Abdul Hamid Dbeiba, Primo Ministro e candidato alle presidenziali (seppur contestato) e Mohamed Menfi, presidente del Consiglio presidenziale presenti alla Conferenza di Parigi

 

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