In questi giorni di interpretazioni biologiche sulla dinamica del Coronavirus ne ho lette e ascoltate molte: tutte contraddittorie tra loro. Una sola verità sembra comunque valida, in quanto riferita al virus nel suo genere: questo tipo di molecola, a differenza del batterio, non ha struttura cellulare. Per riprodursi ha necessità di fagocitare una cellula, che può avere le possibilità di resistergli, in ragione del tipo di organismo di appartenenza. Quello della specie Homo ha molteplici diversificazioni, in rapporto all’ambiente e allo stile di vita. Pertanto, é su questi aspetti antropologici che occorre operare, senza affidare le soluzioni ad un vaccino, che permetta di “proseguire tutto come prima”.
Queste precisazioni sono necessarie per evitare la cattiva interpretazione dell’articolo, che trae spunto dal mito, giacché questo ha sempre preceduto la realtà storica.
IL MITO DI DIONISO, FONDATIVO DELLE PRIME CIVILTÀ EUROPEE
«Epidemico» significa «sulla popolazione». Per capire il significato più profondo del termine è interessante richiamare la divinità del mondo antico associata a questa parola: Dioniso. Non si tratta di una divinità appartenuta al solo pantheon greco; come vedremo in seguito, fu omaggiato anche in Anatolia occidentale e Tracia.
Dioniso non fece parte del consesso Olimpico, ma quando faceva ingresso in una comunità a lui ignota il suo culto dilagava, “contagiando” persone di ogni estrazione sociale, proprio come un virus sconosciuto. Perciò fu definito il dio epidemico. Una delle ragioni del suo successo stava nell’unicità del rapporto con chi lo venerava: un rapporto personale e al tempo stesso universale, così com’è anche la malattia epidemica.
Dioniso rappresentava l’archetipo della Vita indistruttibile. Come ogni dio, egli fu di espressione umana e incarnava la ciclicità dell’esistenza, grazie a una caratteristica dai cristiani considerata blasfema. Dioniso, infatti, è un dio che muore per poi rinascere, esattamente come ci insegna Madre Natura nella varietà delle sue forme.
Nell’analisi antropologica Dioniso è un dio preindoeuropeo di grande antichità. Il suo culto nell’antica Europa é testimoniato da templi, sculture falliche e descrizioni di processioni con enormi falli. La tradizione delle feste dionisiache, persistente anche in epoche più tarde rispetto alla civiltà greca, è attestata da immagini mitologiche, le cui robuste radici affondano in gran parte dell’Europa sud-orientale e in Anatolia occidentale. Tuttavia, discutere sulla provenienza del greco Dioniso è inutile: infatti, la Tracia, Creta micenea (ovvero post-minoica) e l’Asia minore occidentale sono terre con la stessa cultura madre.
Dioniso era un dio-toro, signore della rigenerazione annuale, pervaso dall’urgenza della natura. Come tale, traboccante di virilità e dio prediletto dalle donne. L’abbondanza di falli nelle feste dionisiache, nelle sculture in prossimità dei templi e tra le erme collocate come pietre miliari lungo le strade (e di fronte le case), ci dice quanto gli antichi europei fossero posseduti dalla «magia fallica». Il dio-toro era presente in molte aree della Grecia e particolarmente in Macedonia all’epoca di Euripide, le cui Baccanti contengono numerose epifanie taurine, come la seguente: «Un dio nacque, che di toro aveva corna; e di serpenti si recinse la corona» (Euripide, Le Baccanti, 99).
Dioniso raggiunge il massimo della potenza attraverso la simbiosi: ovvero la saggezza e le passioni dell’uomo, che si fondono con la forza fisica e la potenza del toro. Infatti, i reperti archeologici mostrano statue di creature ibride (metà uomo e metà toro), verosimilmente rappresentative del possesso di un potenziale maggiore rispetto all’uomo o al toro, presi singolarmente. Raffigurazioni di toro, caprone o ariete compaiono spesso su piccoli recipienti rituali. Le teste cornute, in cui si incarna la potenza virile, potrebbero aver svolto una parte nelle cerimonie e nel culto. Vasi con protomi a forma di testa animale cornuta sono decorati con incisioni riempite di colore bianco o con dipinti in bianco, rosso e nero (tricromia). Nei misteri orfici, gli adepti mangiavano la carne cruda del toro, prima che diventasse ciò che i Romani chiamarono «Bacco».
Il rito di Dioniso in Tracia vedeva all’opera “mimi con voce taurina”, che muggivano al dio. Secondo Alexandra di Licofrone, le donne che venerano Dioniso Lafistio indossano esse stesse corna, a imitazione del dio immaginato con testa taurina e così rappresentato nell’arte (cfr. Harrison, 433). Plutarco aggiunge altri particolari: “Molti greci raffigurano l’immagine di Dioniso in forma di toro. Nelle loro preghiere le donne di Elis invocano il dio, affinché venga a trovarle con piede taurino. E fra gli argivi (abitanti di Argo, ndr) vi è un Dioniso il cui titolo è: «nato da toro». Lo chiamano con trombe affinché esca dall’acqua, lanciando agnelli nelle profondità marine al custode della Porta” (Plutarco, cfr. Harrison, 433).
Per approfondire leggi le note sulle feste dionisiache (1)
A questo punto qualcuno si può chiedere: che interesse può avere tutto questo per noi del 3′ millennio ? La risposta é che ciò che importa sapere oggi é il significato di una ritualità assolutamente ossequiosa delle leggi della biosfera: quelle che favoriscono sia il proliferare delle specie viventi sia la loro trasformazione, allorché l’eccessiva e disordinata riproduzione si rende incompatibile con l’equilibrio biologico naturale. Forse non a caso il Coronavirus non colpisce i bambini ? Essi in tutte le storie umane rappresentano il futuro: ovvero il mondo migliore e il cambiamento che i genitori auspicano.
LA PANDEMIA E IL MITO DEL DIO PAN
A tale proposito potrebbe risultare anche più potente la parola pandemia. Infatti, il prefisso di origine greca (Pan) indica la totalità dell’infezione ma, ancora una volta, nella parola stessa troviamo una sorta di antidoto: un germe positivo di speranza.
Anche qui siamo di fronte a un dio antico, quel Pan che governa ed esprime le forze primigenie.
Plutarco in un suo scritto chiamato De defectu oraculorum, riporta la cronaca di un episodio narratogli da un certo Epiterse: «All’improvviso dalla nebbia sul mare si sentì una voce dall’isola di Paxos. Quando sarai a Palodes, annuncia che Pan il grande è morto. Allorché giunsero a Palodes Thamus, a gran voce, dalla poppa della nave e rivolto verso la terra, annunciò che il grande Pan era morto. Ed egli non aveva quasi finito, che si levò un lamentoso pianto, non di uno solo, ma di molti, misto a stupore. E siccome molti uomini vi erano presenti, ben presto la voce si sparse per Roma. L’imperatore Tiberio, allora, mandò a chiamare Thamus, e tanta fu la sua fede nel racconto del marinaio che volle informarsi e fare indagini su questo Pan: i filologi di corte congetturarono che fosse il figlio di Ermes e Penelope».
Un altro dio che muore, un’altra divinità legata alla Natura. Ma il grande dio Pan non è mai morto, molti lo incontrano nei momenti meno opportuni della loro vita, quando un attacco di panico li gela sul posto e li rende incapaci di qualsiasi azione.
In conclusione, queste brevi ascendenze mitologiche, cosa ci dicono? Come premesso, noi sappiamo, o dovremmo sapere, che il Mito viene ben prima della Storia e, soprattutto, che esso la travalica, ponendosi nel «Grande Tempo» degli archetipi. Dunque, epidemia e pandemia sono momenti comunque legati (per quanto negativi possano sembrarci) al ciclo dell’esistenza, che si rinnova anche in queste forme tragiche ed a volte terrificanti.
Eppure, se riusciamo a cogliere i fenomeni nel loro divenire ciclico, nella logica della Vita, la paura e l’ansia, grandi nemiche della lucidità ed anche delle difese immunitarie, si attenuano, dandoci una forza d’animo, che forse è il presidio più potente contro il morbo: questa è la volontà di vivere come la Vita ci dice di fare.
NOTE :
(1) – Più in generale, nell’antica Europa la chiave di comprensione più completa del dio maschile si trova nelle feste dionisiache, conosciute come Antesterie, Lenee e grandi Dionisie.
In queste feste, che hanno assimilato elementi di antichità più remota, Dioniso appare come dio dell’anno. Il concetto di rinnovamento è ricorrente e prevalente in tutte le feste dell’inverno e della primavera. Ognuna di esse replicava uno spettacolo agricolo orgiastico, con falli, tazze, cucchiai e piatti di culto a forma fallica e con il dio-toro (Dioniso) che sposava la regina (culto della Dea).
Anche le Dionisie urbane a marzo erano organizzate per garantire la fertilità. Per questa festa le città dell’impero ateniese inviavano un vistoso emblema di fertilità: un fallo gigantesco (Webster 1959).
Le Antesterie erano una festa dei fiori in onore di Dioniso, dio della primavera: si beveva godendosi l’allegra compagnia. Il secondo giorno della festa si spillava il vino dagli otri e si portava al santuario di Dioniso, dove veniva silenziosamente distribuito in piccole tazze fra tutti i cittadini di età superiore ai quattro anni. Dopo che tutti avevano bevuto, la moglie del magistrato veniva data in sposa a Dioniso, accompagnata da donne che avevano fatto voto di castità.
Sono state rinvenute, infatti, molte statuine fittili che ritraggono donne in posture danzanti, vestite con abiti cerimoniali a seno scoperto (tipicamente cretese minoico), ornati da “colletti e cinture a forma di serpente”. Probabilmente l’idea, centrale della rappresentazione rituale, le «nozze sacre», ovvero il coito rituale del dio maschile e della dea femminile, si riflette nella piccola scultura di Càscioarele (vedi foto). Questa appartiene al complesso Gumelna (calcolitico) nei Balcani orientali ed è l’unica del genere (che non significa non ci fossero altre raffigurazioni delle «nozze sacre» in altre regioni ed epoche dell’Antica Europa), che sembra aver voluto dire: unitevi e moltiplicatevi. Ciò per noi oggi può significare: fare spazio alle nuove generazioni, lasciando loro un mondo pulito in tutti i suoi aspetti.


