Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 17 luglio 2015
La prima dichiarazione di Stefano Fassina, subito dopo la decisione di Tsipras di accettare un nuovo piano di ‘salvataggio’, mi aveva lasciato perplesso. Dopo un’analisi giusta sulla natura e sugli effetti di questo piano, chiudeva così: “Speriamo che il voto del Parlamento greco sull’accordo sia coerente con la scelta chiaramente espressa dal popolo greco”. In sostanza si augurava un ‘no’, e dunque un nulla di fatto della trattativa e, quindi un rapido default greco con la fuoriuscita forzosa e unilaterale dall’Euro della Grecia (più o meno quel che avrebbe voluto Schauble, diciamo). Analisi corretta ma proposta politica incauta, quasi buttata lì così, senza pensarci troppo.
Oggi sul ‘manifesto’ Fassina corregge quella impostazione, e sembra quasi che scriva il pezzo allo scopo. L’analisi è la medesima e la condivido. Fassina ha le qualità dello scienziato dell’economia, e dunque riesce a tratteggiare il quadro con abilità e sintesi. È la proposta politica che stavolta sembra emergere con più spessore. Intanto, dice, Tsipras, Syriza e il popolo greco “hanno il merito storico, innegabile, di aver strappato il velo della retorica europeista e della oggettività tecnica steso a coprire le dinamiche dell’eurozona. Ora” dice Fassina, ORA “si vede la politica di potenza e il conflitto sociale tra aristocrazia finanziaria e classi medie”. “Questo quadro è reversibile?” si chiede subito dopo. “È difficile rispondere sì”: e con ciò mostra la necessaria ipoteticità di ogni ragionamento che sia anche politico. Lo scienziato, il tecnico tirano la somma e pronunciano un giudizio definitivo, il politico no, il politico è ipotetico, dubbioso sempre, ponderatore, anche quando ha le idee chiare in testa (anzi soprattutto in quel caso!). Sono i dubbi e la ponderazione a fondare le decisioni più efficaci. C’è la solitudine prima della parola pubblica.
Dopo aver pronunciato un giudizio lacerante: “nella gabbia liberista dell’euro, la sinistra […] perde senso e funzione storica”, Fassina giunge al punto effettivo e dirimente per chi debba attivare un proposta politica realistica e seria e non solo offrire analisi, ancorché azzeccate. E si pone la domanda-base, inequivocabile: “Che fare?”. Saremmo anche in epoca di postdemocrazia o di postmodernità, ma ‘che fare’ resta lì a dividere il semplice retore dall’uomo politico di governo. “Siamo a un bivio storico” scrive Fassina “da una parte, la strada della continuità vincolata all’euro”, ecc. ecc., “dall’altra il superamento concordato, senza atti unilaterali, della moneta unica e del complesso assetto istituzionale, […] un percorso impervio, incerto, dalle conseguenza dolorose almeno nel periodo iniziale”. Ecco, a me pare che questa sia l’ammissione che Tsipras non avesse molte vie d’uscita, che non fosse affatto auspicabile un rapido default della Grecia con fuoriuscita dall’Euro ‘unilaterale’ e non concordata, che prima di una decisione politica sia indispensabile valutare attentamente contesto, risvolti e conseguenze immediate. E che le dichiarazioni politiche debbono essere molto, ma molto soppesate se l’ambizione è quella di avviare un nuovo corso.
È solo grazie a una discontinuità di atteggiamenti e azioni, dice Fassina, che sarà possibile “costruire una forza politica in grado di rianimare la Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro”. E qui forza politica non indica solo, in prima battuta, un nuovo soggetto, ma una forza che sia ‘politica’, che ‘faccia’ politica e sia abile nel valutare forze in campo, rapporti di forza, assetti, conseguenze delle decisioni intraprese, valutando tutte le ipotesi in campo senza pregiudizi accademici. Il passaggio dalla ‘tecnica’ (le cose stanno così e così, obbiettivamente, non c’è scelta) alla politica (c’è un conflitto tra soluzioni diverse, e si lotta perché valga la propria) è tutta nel ‘che fare’ iniziale e nell’ipoteticità che apre a ogni decisione consapevole. Fassina per primo, lo abbiamo visto, riconosce a Tsipras il merito di aver smascherato l’ ‘oggettività tecnica’ che comanda in Europa. Bene, si continui a farlo adesso. Si continui a negare ruolo politico alla tecnica e alla oggettività. Si apra invece una grandissima discussione sul ‘che fare’, si stili una piattaforma politica, si raccolgano le forze della sinistra (italiana ed europea) e si ribalti a ragion veduta il tavolo di Bruxelles, non così. Oltre l’Euro c’è comunque l’internazionalismo della sinistra, la cooperazione solidale, come si diceva una volta, la mutualità, c’è la necessità di metterci assieme per aiutarci, anche perché ci sono problemi più grandi di uno Stato nazionale (le rivoluzioni demografiche e le grandi migrazioni, ad esempio!). il ‘male’ contenuto nel meccanismo dell’euro (che Tsipras ha scoperchiato), non dovrebbe cancellare altri possibili ‘meccanismi’ più democratici, si chiamino ancora Euro, Europa oppure Pasquale o come volete.
Voglio dire che la politica non è contentarsi dell’algoritmo, per quanto giusto, e applicarlo linearmente alle singole azioni, ma proporre soluzioni anche difficili, anche apparentemente incoerenti, o ‘capitolatrici’. Le soluzioni unilaterali, astratte, improvvisate, troppo analitiche, persino logiche e ‘coerenti’, non sono soluzioni politiche, lo sappiamo tutti. La politica subentra quando si sente la responsabilità della carne e del sangue che si manda, nel caso, al macello se la scelta dovesse essere poco ponderata oppure inefficace. Ecco il punto, che vale per il caso Grecia e vale anche per tutto il resto.


