Fassina: c’è tanto Pd ormai già fuori dal Pd

per Gabriella
Autore originale del testo: Andrea Fabozzi
Fonte: Il Manifesto
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Intervista a Stefano Fassina di Andrea Fabozzi, 15 maggio 2015

L’esponente della minoranza del partito: il percorso dell’opposizione interna l’ho fatto tutto, la battaglia sulla scuola è quella decisiva. Renzi svolge la funzione della destra merkeliana che l’Italia non ha. Serve una sinistra innovativa, ma un nuovo gruppo in parlamento è l’esito di un percorso.

Ste­fano Fas­sina, ci siamo, ha deciso che non c’è più spa­zio per lei nel Pd?
Se non ci saranno radi­cali cor­re­zioni sulla scuola il mio per­corso nel par­tito si con­clu­derà per­ché ho già fatto tutte le tappe dell’opposizione interna, e su que­stioni di mas­sima rile­vanza: dalla svolta libe­ri­sta sul lavoro al popu­li­smo delle riforme elet­to­rale e costi­tu­zio­nali. Ora c’è il ten­ta­tivo di uni­for­mare la scuola a quel modello di demo­cra­zia auto­ri­ta­ria.
Il suo per­corso è chiaro ed è chia­ra­mente diver­gente da quello del Pd, per­ché allora atten­dere l’ultimo pas­sag­gio?
Per­ché non è un pas­sag­gio for­male, la mia scelta è seria­mente legata a quello che avverrà sul dise­gno di legge scuola: al senato lo spa­zio per miglio­ra­menti pro­fondi non è ancora chiuso. Nel giro di poche set­ti­mane vedremo.
Sta aspet­tando l’occasione giu­sta per­ché la sua scelta sia il più pos­si­bile com­presa e con­di­visa?
Mi pare che non ci pos­sano essere più dubbi sul fatto che il Pd si sia ripo­si­zio­nato in ter­mini di cul­tura poli­tica, di agenda e di inte­ressi che intende rap­pre­sen­tare. Per un par­tito di sini­stra il lavoro, la costi­tu­zione e la scuola sono i pila­stri deci­sivi.
Appunto, il Pd si è già ripo­si­zio­nato, allora per­ché atten­dere?
Non c’è solo Renzi, que­sta è l’occasione per veri­fi­care la dispo­ni­bi­lità di un pezzo del gruppo diri­gente, i par­la­men­tari, a fare le cor­re­zioni pro­fonde che sono neces­sa­rie. Per il sot­to­scritto sepa­rarsi da una sto­ria che con­di­vide da anni è un fatto trau­ma­tico.
La con­forta il fatto che sulla scuola la disin­ter­me­dia­zione ren­ziana sta incon­trando qual­che dif­fi­coltà in più?
C’è stata una mobi­li­ta­zione enorme, 618mila tra inse­gnanti e per­so­nale tec­nico che scio­pe­rano è un fatto di rile­vanza sto­rica. Il governo ha sot­to­va­lu­tato la capa­cità di rea­zione di un pezzo di società con­sa­pe­vole, che non sta die­tro ai mes­saggi con­for­mi­stici ma legge i dise­gni di legge e gli emen­da­menti e man­tiene una capa­cità di cri­tica.
Eppure Renzi, con o senza lava­gna, vende una riforma diversa da quella che effet­ti­va­mente fa. L’opposizione, oltre che nel merito, non andrebbe gio­cata anche nella capa­cità di rac­conto?
Abbiamo letto tutti Sal­mon, ma ci vor­reb­bero anche dei media un po’ meno cassa di riso­nanza del governo.
Non si intra­ve­dono.
In ogni caso abbiamo un pro­blema a monte della capa­cità comu­ni­ca­tiva. E cioè rico­struire il para­digma di una sini­stra inno­va­tiva. Renzi pre­senta tratti di discon­ti­nuità nella cul­tura isti­tu­zio­nale, ma in fondo è l’interprete estremo della subal­ter­nità cul­tu­rale della sini­stra al libe­ri­smo. Il cedi­mento lo pre­cede di un quarto di secolo.
Insomma: è un bravo comu­ni­ca­tore, ha i media con lui, ma il titolo della sua sto­ria è falso, non può essere «cam­bia­mento»?
Soprat­tutto il cam­bia­mento non è neu­tro, può essere regres­sivo o pro­gres­sivo. Non a caso negli anni ’80 si affermò l’ossimoro «rivo­lu­zione con­ser­va­trice», e anche quello era cam­bia­mento.
Fas­sina, quando doveva spie­gare la sua per­ma­nenza del par­tito diceva che «c’è tanto Pd fuori dal palazzo». Poi si è accorto che anche quello è ren­ziano?
Mi sto accor­gendo che tanto Pd se n’è già andato. Sto girando quasi una scuola al giorno, fac­cio incon­tri spon­ta­nei con gli inse­gnanti e mi rendo conto che un pezzo del par­tito l’abbiamo già perso. Que­sto pezzo del Pd che sta fuori dai palazzi è ormai fuori anche dal Pd.
Quindi non sono diven­tati tutti ren­ziani, è che sono rima­sti quelli?
Non dico que­sto, c’è stata sicu­ra­mente un’onda di con­for­mi­smo. Ma anche que­sta «con­qui­sta» si deve leg­gere nella con­ti­nuità. Renzi pro­pone un’interpretazione abile di un para­digma che è già stato pre­sente nel par­tito. Era domi­nante ai tempi del Lin­gotto, c’era anche durante la segre­te­ria Ber­sani. Me le ricordo le bat­ta­glie con­tro Ichino per evi­tare che si arri­vasse a dov’è arri­vato Renzi. Aggiungo: la costru­zione del mito fon­da­tivo delle pri­ma­rie è comin­ciata ben prima. Quel mito è adesso nel cuore delle isti­tu­zioni, ma c’è arri­vato par­tendo dallo sta­tuto del Pd, e non ce l’aveva messo Renzi. Non è il mar­ziano che con­qui­sta un pia­neta sano.
E cos’è?
È il lea­der di un par­tito dell’establishment, libe­ri­sta e ple­bi­sci­ta­rio, subal­terno all’agenda tede­sca. In Ita­lia svolge il ruolo che altrove com­pete alla destra mer­ke­liana, da noi assente. È que­sta la ragione per cui, nono­stante la per­dita di set­tori impor­tanti del nostro elet­to­rato, non si è inde­bo­lito come le altre forze della sini­stra euro­pea.
Verso quei «set­tori impor­tanti» le prime mosse sono venute dal sin­da­cato: la segre­ta­ria della Cgil ha detto che non vota Pd, il segre­ta­rio della Fiom ha lan­ciato la coa­li­zione sociale.
La prima mossa l’hanno fatta gli elet­tori, quei 700mila che il 24 mag­gio hanno votato Pd in Emi­lia Roma­gna e l’autunno suc­ces­sivo non l’hanno più fatto. Il par­tito ha perso la metà dei con­sensi e la par­te­ci­pa­zione al voto è crol­lata. La prova che ci sono domande sociali e domande di rap­pre­sen­tanza poli­tica che non tro­vano rispo­sta nel Pd.
Alle domande è meglio offrire rispo­ste piut­to­sto che ini­zia­tive non coor­di­nate: Civati è uscito, lei no o non ancora.
Con Civati e con altri abbiamo discorsi aperti, siamo in una tran­si­zione e la rispo­ste non pos­sono arri­vare da dina­mi­che di palazzo. Biso­gna che parta dai ter­ri­tori un per­corso con­di­viso. Noi che svol­giamo una fun­zione di rap­pre­sen­tanza poli­tica pos­siamo solo por­tarlo avanti.
Sta dicendo che non c’è fretta di costi­tuire un nuovo gruppo in par­la­mento?
Avrebbe senso solo se fosse la pro­ie­zione di fatti che devono matu­rare fuori dai palazzi e che dob­biamo essere in grado di accom­pa­gnare.
Comin­ciando dalla rac­colta delle firme per il refe­ren­dum con­tro l’Italicum?
Penso la que­stione della scuola ci con­senta di rac­con­tare la svolta che sta avve­nendo sul ter­reno della demo­cra­zia in modo molto più effi­cace della riforma elettorale.

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