Filosofia di Bersani

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 10 dicembre 2015

Avevo già letto con una certa attenzione l’intervista del 5 dicembre scorso di Pier Luigi Bersani al Fatto. Oggi, riguardandola, ho scoperto un passaggio molto interessante, che spiega sinteticamente ma quasi mirabilmente la sua filosofia politica, se così si può dire. È laddove dà questa definizione di ‘riformismo radicale’: “è governare – dice – toccando la vita comune delle persone con fatti chiari che non hai bisogno di annunciare né raccontare”. Ecco io penso che il pensiero di Bersani e il suo stile politico siano davvero riassunti in questo passo. La ‘radicalità’ riformista è costituita di fatti, che riguardano direttamente la vita delle persone, la vita comune, quella quotidiana. Fatti che, se ben congegnati ed efficaci, ne debbono modificare (in meglio) la qualità. Da questa convinzione, il conseguente stile di governo non può che essere sobrio, quasi frugale. Molto studio, molto ascolto e poi decisioni mirate, concretissime. Le lenzuolate, insomma.

Ma l’aspetto più rilevante è la seconda parte dell’affermazione di Bersani, quando lui dice che i fatti ben congegnati non necessitano di annunci, né di narrazioni specifiche. I fatti quando migliorano la qualità della vita, si manifestano da sé nella coscienza dei cittadini, non debbono essere ‘pompati’ dalle slides. Semmai le slides talvolta si presentano come surroga dei fatti, come loro sembianza, e infine si tramutano in fatti esse stesse, o presunti tali. Bersani, si sa, è un uomo sobrio e asciutto, direi essenziale. Quest’idea che i fatti reali non si debbano ‘annunciare’ anticipatamente, è parte di questa sobrietà. Un governo che governa davvero non deve intrattenere il popolo con le gag televisive o i tweet. E se lo fa, questo deve avvenire dopo, molto dopo, non prima o al posto. La sua è una narrazione a posteriori, un alone successivo. Non costituisce l’azione di governo, non l’anticipa, semmai la potenzia, la irrobustisce successivamente o lateralmente.

Ebbene, la distanza da Renzi è abissale, facile convenirne. Così come è abissale il pensiero che li differenzia. Tanto sobrio l’uno, quanto sregolato l’altro. Tanto essenziale, asciutto l’uno, quanto retorico, barocco e ornamentale l’altro. Che cosa li unisce, allora? O meglio come possono convivere nello stesso contenitore o, per certi aspetti, in questa stessa fase politica? Una fase strana, che genera Renzi, ma avrebbe bisogno di Bersani? Che produce annunci a raffica, quando avrebbe bisogno di ‘fatti’ radicali, che migliorano IN PROSPETTIVA la qualità della vita delle persone, non solo temporaneamente, accidentalmente, a secondo del caso e dello sghiribizzo elettorale? Ecco: che c’entra Bersani (uno che berlinguerianamente resta fedele agli ideali di gioventù) con Renzi (uno che per riconoscere gli ideali deve portare con sé ogni volta una foto segnaletica dei medesimi)? Qui non si tratta di diverse sfumature di rosso, o di chissà quale altro colore. Qui sono a confronto paradigmi diversi, archetipi diversi. Qui, criteri di fondo disparati e impostazioni ‘filosofiche’ alternative sono spinte a convivere forzosamente senza, peraltro, alcun ricavo politico positivo. Spinte a ‘stonare’ e a stridere nello stesso contenitore politico, peraltro sempre più mal messo e malato. Voi dite che quel che è fatto è fatto? Che così è, e pazienza? Be’, non mi avete ancora convinto a prenderne atto, sappiatelo.

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