Gambino: “Politici, se non siete in grado di salvare Kabul, almeno fate silenzio”

per mafalda conti
Autore originale del testo: Michele Gambino
Accendo la tv dopo cena, e su “La 7” parlano di Afghanistan. Un servizio riferisce delle reazioni italiane all’ingresso dei Taliban a Kabul. Ascolto le parole dei politici che sfilano a favore di telecamera e una sensazione di già visto balugina nella mia testa. Mi concentro, uno, due, tre minuti… c’è qualcosa, nelle parole che ascolto che smuove un ricordo, ma non riesco ad afferrarlo. Poi ecco, quasi ci arrivo…
Srebrenica, luglio 1995. Sono con un gruppo di altri giornalisti alle porte di quel paesino ancora sconosciuto, in cerca di testimonianze sul massacro compiuto dagli uomini del generale Mladic. Sfilano sotto i nostri occhi vecchi autobus carichi di donne e bambini. Non possiamo parlare con loro, ma non dimenticherò mai gli sguardi che incrocio attraverso i vetri luridi, gli occhi pieni di orrore.
E riaffiora intero il mio ricordo: c’è una baracca che vende cianfrusaglie a poche centinaia di metri dal posto di blocco serbo che c’impedisce di entrare a Srebrenica. Nella baracca c’è il telefono che usiamo per telefonare ai nostri giornali. Quando è il mio turno chiamo il mio direttore, Claudio Fracassi, a Roma, e lui mi racconta delle reazioni dei politici italiani al massacro di Srebrenica.
Non ricordo i dettagli, ma la voce di Claudio è piena di un sarcasmo dispiaciuto, e mi restituisce perfettamente la vacuità e la distanza della politica italiana di allora rispetto alla tragedia che avviene a due chilometri da me.
“Discutono da sotto gli ombrelloni”, mi dice Claudio un attimo prima che la linea – costantemente precaria – cada. Quest’ultima frase mi è rimasta impressa per anni, l’ho anche ripresa in un romanzo che ho scritto sulla Bosnia, poi l’ho dimenticata, fino a stasera.
Discutevano da sotto gli ombrelloni mentre i serbi massacravano gli uomini e i ragazzi di Srebrenica; lo fanno anche adesso, mentre Kabul cade nelle mani dei fanatici. Sanno che ciò che dicono dura lo spazio di un telegiornale: uno vuole aiutare gli afghani ma anche affondare i barconi, uno sta al mare ed è il ministro, uno dice che con i Taliban bisogna dialogare…Non sanno quel che dicono ma lo dicono forte…
Non mi piace chi spara sui politici, perché la politica è una cosa seria e importante, anche quando a rappresentarla sono le seconde e terze linee, come oggi. Ma non posso farci niente se nella mia testa le vuote parole su Srebrenica risuonano come le vuote parole su Kabul.
Vorrei dire loro: se non sapete ciò che dite, o se ciò di cui parlate non v’interessa davvero, restate in silenzio Dovrebbe essere una regola, la prima, per la buona politica.
Se non siete in grado di salvare Kabul, salvate almeno il buon senso.
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