Fonte: facebook di Celeste Ingrao
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di Giovanni Spataro – 6 aprile 2015
“Giovanni Berlinguer è stato un dirigente comunista anomalo: mai sicuro di sé, capace di ascoltare come pochi altri, curioso intellettualmente, mai chiuso. Era sempre attento a chi aveva davanti, fosse il presidente del consiglio o un operaio. Quando è stato segretario regionale del Pci nel Lazio con noi cronisti dell’Unità aveva un rapporto speciale e noi con lui ci trovavamo bene perché lo sentivamo uno di noi.
Cinque anni fa sono andato nella sua casa di Roma per intervistarlo (qui sotto il link). Abbiamo parlato di tutto: del Pci e di suo fratello Enrico, della sinistra e di Berlusconi, del leghismo e dell’Italia in crisi. Mi disse, dimostrando uno sguardo lungo: nella sinistra molti pensano troppo alle carriere piuttosto che al rapporto vero con il Paese, ci sono persone che dicono di fare politica ma che di fatto promuovono solo la propria attività. Quanto aveva ragione….” (Pietro Spataro)
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L’Unità INTERVISTA GIOVANNI BERLINGUER
di Pietro Spataro
È deluso ma non pessimista. Giovanni Berlinguer ci accoglie nella sua casa zeppa di libri con quello sguardo dolce e il ragionare pacato che ne hanno fatto uno dei politici più ascoltati a sinistra. Alla parete c’è una foto di lui con Enrico. Ricordiamo insieme le ultime parole di Berlinguer a Padova prima di morire: andate casa per casa, azienda per azienda…«La politica – dice Giovanni – deve ritrovare la capacità di stare tra la gente…».
Non è andata bene per il centrosinistra. Deluso?
«Certo, sono deluso dal risultato complessivo. Però al tempo stesso vedo che in questa battaglia per le regionali si sono manifestate alcune novità. C’è stata una buona mobilitazione che però ancora non ha compiuto quell’opera di convincimento diffuso».
Ma quale è l’immagine del Paese che esce dalle urne?
«Esce un’Italia difficile. Si è vista una scarsa partecipazione democratica che non si esprime solo nell’astensionismo ma anche, in alcuni casi, nel rifiuto di volersi cimentare per migliorare questo Paese».
Nel Nord la Lega è ormai padrona. Come ha fatto?
«Il voto alla Lega è un fenomeno preoccupante. Hanno scoperto un modo di fare politica che non è più quello da cui sono partiti. Cercano di caratterizzarsi come parte della vita politica e culturale e diffondono la loro tecnica oltre lo spazio locale. Credo che uno dei nostri compiti è quello di contendere lo spazio alla Lega».
La prima mossa dei governatori leghisti è dura: no all’uso della pillola abortiva. Un gesto grave?
«Ogni valutazione che riguardi la procreazione e anche l’embrione è difficile: ma già la Corte Costituzionale ha stabilito chiaramente la differenza tra un embrione e un “essere umano”, dando priorità alla salute rispetto alla vita di un embrione. Gia nel 1978 la legge, di cui fui relatore, introdusse norme regolatrici che sono tuttora valide. Periodicamente, come ha scritto Sergio Romano, “è emersa la disponibilità di alcuni settori della politica a tollerare le interferenze”. E le ultime prepotenze hanno per nome appunto Cota e Zaia. L’agenzia italiana ha avviato una risposta efficace».
Il voto leghista non dimostra che la parte più produttiva dell’Italia è lontana dalla sinistra?
«Non c’è dubbio che questo rischio è forte. Chiediamoci che cosa è successo. Noto che ci sono stati diversi spostamenti. Il lavoro si è modificato profondamente, è diventato da un lato più qualificato e dall’altro più sfruttato. Noi non abbiamo capito questi cambiamenti. Vedo come una paralisi delle forze di sinistra».
Il problema è: come riagganciare quei pezzi di società?
«Bisognerebbe partire dalla vita quotidiana, dalle trasformazioni negative. Guardi, penso non solo al lavoro e ai diritti, ma anche all’istruzione e a tutte le angherie che spesso vengono imposte».
Come ha fatto Berlusconi a reggere in un Paese in crisi?
«Il problema non è nel comportamento di Berlusconi e nel suo modello. C’è invece un ritardo nell’organizzazione dei democratici. Ci sono persone che dicono di fare politica ma che di fatto promuovono solo la propria attività. Insomma, si pensa troppo alle carriere piuttosto che al rapporto vero con il Paese».
Ora il premier dice: avanti con le riforme. Una minaccia?
«Una minaccia pesantissima. Già ora sono state introdotte norme che scardinano la Costituzione. E ora si prepara di peggio, il presidenzialismo. Dobbiamo opporci con forza».
Hanno tentato anche con l’articolo 18. Li ha fermati Napolitano…
«È uno dei tanti interventi che hanno caratterizzato la presidenza di Napolitano riuscendo a mantenere ancora un assetto che rispetta la Costituzione. Il Quirinale sta svolgendo un ruolo importante di garanzia».
Berlusconi è imbattibile?
«Niente affatto. Nella destra ci sono moltissime contraddizioni. La vera difficoltà è nostra. Dobbiamo cercare di lavorare in un ambiente più limpido».
Limpido?
«Sì, e faccio un esempio. Nel Pd ormai ci sono cinque, dieci e forse più gruppi che si formano non sulla base delle idee ma sulla spinta a creare centri di potere. Ora vedo che si sta lavorando per costruire una fondazione democratica nell’ambito del Pd. Tutto questo non facilita una battaglia profonda e intelligente».
Però qualche esempio positivo ci sarà. Burlando al Nord e Vendola al Sud vanno controcorrente…
«Certo, sono due buoni esempi. Per Vendola ho una grande amicizia e considerazione. In Puglia si è aperta la possibilità di ampliare le speranze per un’idea nuova. Nichi mi ha convinto che la politica deve cambiare radicalmente. E non solo negli indirizzi ma nei modi di lavorare e di pensare. Deve essere più vicina ai problemi dei cittadini».
Ma crede davvero che si possa aprire un cantiere in cui si sciolgano tutti compreso il Pd?
«È un cambiamento molto complesso. Non sono in grado di dire se sia davvero praticabile. Ma vedrei con grande entusiasmo questa trasformazione».
I giovani sono molto astensionisti. Come si fa a recuperare un rapporto tra loro e la politica?
«Non sono pessimista. Conosco e ho rapporti con studenti e giovani che si muovono in politica e anche esperienze familiari. Ho notato che negli ultimi due anni i giovani hanno ritrovato un certo interesse. Forse il problema sta nei partiti. Non si fa quanto necessario per aprire le porte».
Berlinguer, possiamo sperare che le cose cambino?
«Sono generalmente un ottimista. Spero proprio di non essere smentito».
ROMA pspataro@unita.it


