Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Gli spatriati
L’Italia politica è investita da una catastrofe cominciata ben prima del flop referendario di queste ore. Una catastrofe che coinvolge tutto, senza distinzioni: le istituzioni rappresentative, i partiti e le forme di democrazia diretta. La risposta che la classe dirigente ha dato sinora a questo scenario è stata quella dei tecnici, dei migliori, dei banchieri, delle presunte competenze curriculari. Ossia la neutralizzazione definitiva della politica malata. Ma quanto può reggere questa soluzione? Quanto può durare, a patto che stia durando?
È evidente che l’azzeramento della politica (ossia della mediazione offerta da partiti, istituzioni, corpi intermedi) surrogata dagli uomini soli al comando, spinge al potere direttamente i potentati economici e gli oligarchi di casa nostra, che puntano a guidare il Paese anteponendo direttamente i loro interessi particolari a quelli generali. Dinanzi alla pressione di queste oligarchie economiche, la politica neutralizzata assume un aspetto verticistico, secondo una linea di comando verticale, a cui viene a mancare l’ortogonalità offerta dall’attivismo politico posto orizzontalmente ai diversi livelli istituzionali e popolari. Una democrazia zoppa, dunque, ridotta alla classe politica e quindi priva di una base.
La domanda che faccio è la seguente: c’è un dopo a tutto questo? Dato per scontato che lo scenario è la catastrofe che dicevo, in cui pezzi politici sempre più consistenti (a destra come a sinistra) vivono ormai allo stato parassitario agganciati a questo o a quel potentato o lobby, c’è qualcuno che sappia mostrarci un dopo, sappia indicare il da farsi, sappia dirci che cosa c’è dopo questa apocalisse politica, dopo l’assalto della società e dei potentati ai vertici dello Stato e delle istituzioni? La risposta non può essere la tecnica, il governo del “fare”, i migliori al comando, come sta accadendo, perché semmai questo è un pezzo del problema, non la sua soluzione.
Anzi, i governi tecnici e l’idea che la politica sia il “fare” e non la partecipazione attiva dei cittadini, sono il canto del cigno della democrazia. Quindi? Qualcuno ha il coraggio di dirci cosa verrà dopo, quale sarà il futuro, o siamo condannati al presentismo dei consumi e dei viaggi, dei social e dei mercati, della cura di sé e del lusso, dei migliori al comando e del conformismo sociale, mentre ci sono guerre in corso e miliardi di persone pagano profumatamente la nostra vita agra? I nostri vezzi inaciditi? I nostri belletti? Io credo che la soluzione sia solo nella ricostruzione di quel tessuto di mediazioni politiche e istituzionali, che oligarchi, potentati e servi politici sciocchi hanno stracciato con testardaggine. Tuttavia, a me piacerebbe sapere anche cosa ne pensano gli altri, ripristinando con l’occasione una forma anche scabra e minimale di dibattito pubblico: un balsamo per le macerie politiche entro cui ci aggiriamo ormai come “spatriati”.


