di Alfredo Morganti – 18 ottobre 2016
Fateci caso, ogni qualvolta si apre una contesa (principalmente politica) tra due raggruppamenti, e ci si schiera, c’è sempre una categoria che si piazza in mezzo e ‘tenta il dialogo’. Una volta sono i ‘responsabili’, un’altra i ‘pontieri’, un’altra ancora i ‘mediatori’. Questi dialoganti non sai mai che posizione abbiano, e se ne abbiano una. Forse ne avevano, forse ce l’avranno anche spiegata, e magari l’hanno pure sbandierata ai quattro venti prima di concentrarsi principalmente sul loro destino di ufficiali di collegamento. Io però li vedo con lo zaino vuoto di contenuti e pieno solo di volontà relazionante. Sono qui per ‘tirare i fili’, per ‘tessere’, me li immagino chiusi in una stanza o addossati a un angolo del salone mentre tentano di convincere qualcuno che non bisogna essere tifosi, che serve più flessibilità, che certo la posizione di quegli altri è ridicola ma è sempre meglio che niente. Per adesso ‘lavoriamo all’unità’, poi si vedrà: dopo il referendum ci dimenticheremmo tutti di tutto e sarà una grande rimpatriata, con tante poltrone per tutti (o quasi). Ecco, l’importante è ‘essere uniti’: che figura ci facciamo, sennò? Diciamo di volere stabilità, governabilità e poi spacchiamo il partito? E poi dimostriamo di non saper gestire ‘neanche un bar’ (Ettore Rosato), come se un partito fosse preparare un decaffeinato, uno spritz o un bonus di salatini. O forse sì?
Ce lo vedo Renzi al bancone che passa lo straccetto come i baristi del Far West, e i renziani a prendere ordinazioni ai tavoli, a suonare il piano, a cantare canzoni romantiche di cow boy innamorati, mentre i dialoganti, fuori dalla porta d’ingresso ‘catturano’ in strada i possibili avventori-avversari del titolare del bar, per convincerli a farsi almeno un cicchetto referendario. Il PD come un bar, appunto. E il referendum come l’assaggio di quello che verrà: un Paese alla ‘o così o pomì’. Un Paese dove ci sono quelli che la pensano in un qualche modo e quelli che non la pensano affatto, ma sono lì a sbracciarsi per ‘unire’, per ‘tessere’, per creare spirito. Non mediatori veri, no. La mediazione è una cosa seria che si fa sui contenuti, non solo rivendicando una casa comune, un comune destino, e forse possibili comuni interessi a stare comunemente assieme. La mediazione è una lotta, è un confronto articolato, è una battaglia per produrre una visione condivisa tra gruppi che non perciò si debbono unire. Non è roba da pontieri a buffo. Mi pare, invece, che Renzi questo non lo voglia affatto, che la mediazione non sia il suo forte, perché contraddice la rottamazione, la divisione che ha introdotto, la spaccatura che lui ha scelto quale metodo di governo. No, non è un partito di mediatori, questo, ma di renziani baristi e di dialoganti alla caccia di nuovi clienti. E non ha futuro, diciamolo. Né che vinca il sì, né che vinca il no.


