I fannulloni, lo smart working e una pessima classe dirigente
Tempo fa, uno strano Sindaco di un qualche piccolo paese disse che per superare la crisi del coronavirus bisognava togliere una percentuale di stipendio ai dipendenti pubblici per consegnarlo a lavoratori autonomi oppure direttamente al mondo delle imprese messo in ginocchio dal Covid. Giorni fa un deputato leghista a Trento ha detto che ai ricchi non pensa mai nessuno, che tutti si affannano (a parole) coi poveri e dimenticano la vita grama di chi ha soldi e patrimonio, magari di gloriosa ascendenza familiare.
Ci siamo detti: è folklore! Poi però arriva quel bel tomo di Ichino e dice la stessa cosa, in modo più professorale, ma proprio la stessa cosa, così sintetizzabile: i dipendenti pubblici non fanno un cazzo, tanto più trincerati dietro lo smart working, era meglio metterli in cassa integrazione e risparmiare soldi per darli a chi se li meritava davvero, infermieri e medici in prima linea. Non è folklore, dico io, è una filosofia che trasversa il Paese anche nei silenzi di molti, non necessariamente in dichiarazioni esplicite.
Un Paese che pensa alla sua PA (malpagata, peraltro) come a un covo di furbetti e nullafacenti, come a una trappola burocratica, come a un serbatoio di voti, clientele e basta, non è destinato a durare e forse nemmeno se lo merita. Sono gli stessi che vorrebbero che la “macchina” pubblica funzionasse nonostante tagli, arretratezze, mancanza di investimenti, insulti e contumelie tanto al chilo ai dipendenti. Sono i momenti in cui vorresti già essere in pensione, prima che qualcuno si alzi per rivendicare il 30% di essa per finanziare il povero mondo delle Imprese colpito dalle tasse e costretto a spostare le sue sedi legali all’estero.
NB. I soldi agli infermieri andrebbero dati a prescindere, non tolti dalle tasche degli impiegati, se proprio teniamo al loro lavoro e al loro impegno quotidiano.


