I non rappresentati e l’equivoco del PD

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
I non rappresentati e l’equivoco del PD
La politica italiana ha un problema grande come una casa, l’astensione. Che è poi uno dei tanti aspetti in cui si manifesta la crisi della rappresentanza. Il problema è duplice. Da una parte, c’è una democrazia che rinnega di fatto il suffragio universale ed è perciò destinata a esaurirsi. Dall’altra, sappiamo che l’astensione si alimenta al 78% di “poveri”. La crisi del suffragio universale è dunque una crisi legata al censo – e anche il voto, parallelamente, torna a essere “censuale”, ossia per “ricchi”.
È anche per questo che il cerchio della politica si stringe sempre più attorno alle élite, ai ceti medio-alti, a chi conta, ai primi della fila, mentre gli altri restano progressivamente fuori (anche nelle considerazioni politiche). Questo può andar bene per la destra, che si avvantaggia quando i ceti popolari sono esclusi dal confronto politico con la sinistra e punta solo ad adescarli. Non può andar bene per la sinistra stessa, che si vede decapitata dei suoi soggetti di riferimento. È come se si condannasse alla irrilevanza, andando perciò a brucare in praterie che non le appartengono. Il Partito Democratico è un esempio storico e attuale di questo destino. Partito senza popolo, che fa concorrenza alle forze moderate (e anche di destra) sul piano della proposta politica, senza mai tentare un recupero a sinistra, anzi. Se non in campagna elettorale per fare lo spin.
Il PD, nei momenti che contano, non ha mai un’agenda sociale, ma fa sempre proprie quelle di Lor Signori (banchieri, economisti bocconiani, confindustria). Nasconde le proprie magagne sociali dietro i diritti civili, e si muove in modo subalterno rispetto alla classe dirigente. È il caso del governo Draghi, per fare un esempio recente. Ma, così facendo, invece di rispondere adeguatamente a chi si astiene e non si sente rappresentato, finisce per alimentare questa fuga dalla politica, la legittima, ed erode stupidamente così le proprie basi storiche e sociali. Lo dice anche il Sindaco di Bologna, con una chiarezza disarmante, che sarebbe ora di rivolgersi al popolo piuttosto che alle élite. Cuperlo spiega che “adesso” bisognerebbe occuparsi di lavoro. Adesso. È una palese ammissione di colpa verso il passato.
Il PD è come un grosso equivoco a cui se ne aggiungono sempre di nuovi. Pensate al suo marchio elettorale, e al motto aggiunto al simbolo. Riuscireste a immaginare che quel motto è tutto ciò che è stato offerto a chi ha aderito alle sue liste? A Calenda, alle europee, fu concesso uno spazio simbolico significativo. Oggi alle forze di sinistra aggregate in lista nemmeno un cenno. Un motto, appunto, nulla più. Ma il Paese reale, precario, povero, disoccupato, disagiato, subordinato, incerto, ultimo, che in buona percentuale non vota, chiede altro. C’è una profonda ferita sociale che vuole un medicamento, e non una farsa elettorale, non sotterfugi. Ci sono donne e uomini che non chiedono al ceto politico solo di riprodursi. Ecco lo scoglio politico, democratico, sociale su cui il PD sta rischiando di naufragare, mentre l’agenda Draghi lo zavorra. Un naufragio che potrebbe fare molte altre vittime. Aver rotto un’alleanza progressista con Giuseppe Conte che durava da tre anni è stata una sciocchezza sesquipedale. Le conseguenze le pagano e le pagheranno i “poveri” di cui si diceva. Per conto mio non voto PD da anni. Non mi peserà non farlo nemmeno stavolta.
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