IL CIRCOLO DI JENA E IL RISVEGLIO DELL’IO

per Filoteo Nicolini

IL CIRCOLO DI JENA E IL RISVEGLIO DELL’IO

Con le guerre napoleoniche sullo sfondo, a Jena, nel ducato di Sassonia, un gruppo di donne emancipate, filosofi, poeti, scrittori e traduttori misero l’Io al centro della loro ricerca spirituale. Una persona deve autodeterminarsi e mai lasciarsi modellare da qualcosa di esterno, diceva J.G. Fichte. Il poeta Novalis, i fratelli Schliegel, Caroline Bohmer, Dorothea Voigt, J.G.Fichte, F. Schiller, F. Schelling, i fratelli Von Humboldt e W.F. Hegel animarono questa esperienza unica che si avvalse della figura centrale e moderatrice di W. Goethe, tra il 1793 e il 1807. Essi cercarono l’intreccio profondo tra poesia e prosa, arte e natura, intelletto e passioni, vita e morte, terrestre e divino. Posero nell’Io la più trascendentale idea, quella del libero arbitrio, e tentarono di comprendere il senso del mondo, cosa conoscere e come. La vera rivoluzione che auspicarono non era quella portata avanti dai cannoni e dalle armi ma nel pensiero. La liberazione dell’Io dalle camicie di forza annunciava però allo stesso tempo il pericolo dell’egoismo.

Il libro che tratta del Circolo di Jena è da poco uscito nella traduzione italiana di Antonella Salzano e ha per titolo “Magnifici ribelli. I primi romantici e l’invenzione dell’Io” scritto magistralmente da Andrea Wulf, Edizioni LUISS University Press. La sua lettura appassionante ci rivela quanto quelle idee abbiano germinato in noi a tanta distanza di tempo. Malgrado le loro differenze e dispute, nelle idee dei singoli pensatori che l’autrice riferisce da una fitta corrispondenza vive una verità che supera le visioni personali.

 

In quel che segue, mi avventuro nella concezione del mondo e della vita che delinearono Fichte, Schiller e Goethe. Con il loro pensiero abbiamo una prova di quanto vissero nella realtà del mondo come una realtà spirituale.

Per Fichte l’Io è la fonte di tutta la realtà. Cercò di descrivere le forze spirituali attive nello sviluppo dell’Umanità e lottò aspramente per le sue concezioni. Volle quindi cercare nell’anima umana un elemento vivente nel quale scoprire il centro dell’esistenza di ciascuno di noi, ma anche ciò che tesse ed agisce nella Natura. Non cerca come Cartesio una esperienza di pensiero che possa condurre a certezza, perché tale indagine non chiarirà mai se si è nel sogno o nella realtà. Non abbiamo diritto, insegna Fichte, di considerare le idee che ci formiamo del mondo come qualcosa di diverso da una immagine di sogno. Il mio pensiero può essere il sogno di un sogno perché può solo condurre da una immagine ad un’altra.

 

Occorre invece rafforzare il risveglio dell’anima, deve essere simile a un risveglio ciò che l’anima prova penetrando nella realtà consueta alla vera. Il pensare non garantisce la piena dimensione dell’Io, però nell’Io sta la forza per assumerla. Tale risveglio è l’entità fondamentale dell’anima, e tutta la pienezza del mondo è solo la cortina dietro la quale si cela qualcosa di infinitamente più perfetto ed eterno. L’Io si pone originariamente e indipendentemente, e attraverso questo atto iniziale ha origine la conoscenza del non-Io, della Natura e di tutto ciò che ci circonda. L’Io non crea il mondo ma ne assicura la conoscenza.

 

Fichte riconosceva come nella sfera della esperienza ordinaria si sia capaci di pensare per proprio conto e di giudicare correttamente i fatti della vita comune, ma appena occorra elevarsi anche di una sola spanna sopra quella sfera i più si confondono e si smarriscono. Il pericolo che incombe è quando essi allora pretendono abbassare al loro livello tutto ciò a cui non sanno elevarsi, quando si aspettano che ogni scritto si debba usare come un libro di cucina o di conti o come un regolamento, e discreditano di ciò che non possa usarsi in quel modo. Tali persone non immaginano quanto questi loro pregiudizi siano lontani dalle forze propulsive della vita.

La filosofia non era destinata agli studenti universitari ma aveva una importanza fondamentale per tutta la società. Per Fichte il punto di partenza era l’Io e l’attenzione veniva posta sul sé, su un sé consapevole di sé stesso, sulla auto consapevolezza. La libertà e l’autodeterminazione divennero i due pilastri della sua filosofia. Poter scegliere non è sinonimo di seguire i nostri capricci perché la libertà è il trionfo sui nostri istinti e impulsi attraverso la libera scelta. Senza libertà la moralità è possibile solo attraverso coercizioni e regole.

 

La relazione tra Schiller e Goethe maturò col passare degli anni, dopo un inizio misto di considerazione e avversione reciproca. Fino al momento in cui stabilirono una solida amicizia basata sulla stima e proficui scambi di suggerimenti e stimoli. Le loro conversazioni spaziavano dalla filosofia alla poesia alle scienze. Certamente Goethe non era un filosofo nel senso comune della parola, ma un profondo senso filosofico e interesse per ciò che è profondamente umano pervase la sua vita e le sue opere. La poliedrica concezione del mondo goethiana parte da un centro che si trova nello spirito “unitario” del poeta ed estrae da esso quel lato che corrisponde alla natura dell’oggetto contemplato. Goethe attinge il modo di osservazione dal mondo esterno e non glielo impone, ovvero, il suo pensare è unitario ma non uniforme per così dire.

Per spiegare questa differenza tra unitario ed uniforme, basti pensare che vi sono persone il cui intelletto è adatto a pensare rapporti ed effetti puramente meccanici, ed allora si rappresentano l’universo e tutto quanto gli capiti tra le mani come un meccanismo. Altri hanno l’impulso di percepire l’elemento mistico e misterioso del mondo esterno, e diventano seguaci del misticismo. Tale modo di pensare uniforme, pur valido per un genere di oggetti, viene erroneamente dichiarato universale. La concezione di Goethe è invece illimitata, perché non fa derivare il modo di osservazione dalla soggettività di chi osserva e indaga, bensì dalla natura dell’oggetto osservato. Questa si sintonizza con gli elementi di pensiero che sono ad essi affini. Dunque, la concezione di Goethe comprende tante tendenze di pensiero e non può essere ristretta in una concezione uniforme.

 

Per Goethe, altrettanto per Schiller, il fattore filosofico era attivo nella creazione artistica e le loro opere poetiche si muovono sullo sfondo delle loro concezioni. In Schiller si mostra in principi espliciti, in Goethe nel modo di guardare le cose. Nessuno come Schiller vide la grandezza di Goethe; nelle sue lettere gli poneva una immagine riflessa dal suo essere. L’occhio di Schiller è rivolto allo spirito di Goethe, lo sguardo di Goethe è rivolto alla Natura e alla vita.

Schiller osservò che la botanica, che tanto appassionava Goethe, con tutte le sue classificazioni dava l’impressione di essere un modo frammentario di guardare la Natura. Goethe fu d’accordo e spiegò che c’era un modo diverso e olistico di capire la Natura come un essere vivente, dal quale trarre le specificità. Una volta, Goethe prese una penna e abbozzo il disegno di una pianta. Dietro la varietà c’era l’unità, perché ogni pianta non era altro che la variazione di una figura primordiale. Aveva osservato che la foglia di una pianta era la forma basilare da cui si sviluppavano per metamorfosi tutte le altre parti, i petali, il calice, i fiori. Da qualunque parte la si osservi la pianta è sempre la foglia, aveva annotato nel suo diario durante il viaggio in Italia.

 

A questo punto Schiller commentò che non si trattava di una osservazione ma di una idea. Con questo solo commento Schiller riassunse le loro differenti visioni del mondo. Schiller si considerava idealista e secondo lui l’idea di foglia era preesistente nell’anima di Goethe. Goethe si considerava un realista che contempla il mondo con gli occhi dello spirito e ne estrae le idee soggiacenti. Quindi, osservando le piante e lasciando agire quelle impressioni sulla sua anima dava parole umane alla percezione dell’idea. Goethe “percepiva” l’idea. Secondo Schiller, Goethe attingeva troppo al mondo dei sensi, mentre lui attingeva dall’anima.

Dopo accese discussioni, convennero che entrambi i punti di vista erano modi ugualmente validi le competizione tra realismo e idealismo fecondava energicamente la loro amicizia e il loro scambio. Sempre si sfidarono e si corressero a vicenda.

 

In un prossimo articolo vedremo sempre per sommi capi altri componenti del gruppo, delle loro inquietudini e slanc

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