Il fattore W (wrestling) della politica italiana

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 22 marzo 2018

“Niente caminetti, niente inciuci”. Lo ha detto Renzi. Anche parlarsi, anche scambiare due opinioni, anche trovare un modus vivendi o tirare un ponte di zattere nel dilaniato e sconfitto PD sarebbe un ‘inciucio’. Non è possibile che tra l’uomo solo al comando e l’assemblearismo (che poi sono quasi quasi la stessa cosa) non debba passare nulla. Che anche solo fermarsi a riflettere un po’, guardarsi negli occhi per dirsi qualcosa, sia una nefandezza. Che poi non è che Renzi non ami patteggiare, o vedersi con chicchessia lontano dalle telecamere e fuori dalle istituzioni di governo. Il Patto del Nazareno non è nato davanti a un caminetto, ma in una stanza chiusa, al riparo da occhi indiscreti. Dunque, qual è il problema? Che gli inciuci vanno bene se la pastetta si fa di nascosto? E non va bene se si fa in una riunione semipubblica? Il male, diciamolo, non è nel caminetto ma nell’idea che “mediare” sia una cosa nefasta. E che parlarsi, e fare anche solo il punto della situazione, sia quanto di peggio.

Questa idea ‘malvagia’ contribuisce alla riduzione della politica al suo contrario, ad anti-dialettica, anti-politica, populismo mediatico, prova muscolare, agonismo puro, scontro tra ‘figurine’ Panini, testa-a-testa dinanzi al ‘popolo’ senza nulla che si frapponga. Mostrando della politica, quindi, il lato ‘sportivo’, spettacolare, ‘titanico’: la lotta in diretta social e tv tra ‘Matteo’ e ‘Silvio’, e poi tra ‘Beppe’, ‘Giorgia’, e ancora ‘Matteo’. Un’intimità onomastica che la dice lunga su cosa vogliano i media oggi: il faccia-a-faccia che sintetizzi e raffiguri le (eventuali) idee in persone fisiche, visibili, tangibili, in carne e ossa, facilitando la lettura del copione politico agli utenti-cittadini. Una drammatizzazione da sit-com, ben lungi dalla teatralità tragica della politica. La ‘persona’ emerge, mentre i programmi e gli obiettivi scompaiono, si ‘velano’, come roba per pochi iniziati. Ti credo che poi destra e sinistra appaiano obsolete: si fondano su visioni del mondo, punti di vista, differenze socio-ideologiche, mica su casting e plot narrativi! Sulla tragedia della lotta, mica sui giochi di ruolo.

Dicevamo dell’agonismo. Le metafore che si usano sono quelle calcistiche, ma lo sport più amato è il wrestling. La lotta dove lo spettacolo prevale sulla ‘verità’ effettiva dello scontro, la rappresentazione sul reale. Non amano i caminetti, odiano le mediazioni, vorrebbero imporsi e ‘metterci la faccia’, si contendono lo spazio mediatico e duellano nei faccia-a-faccia, ma alla fin fine patteggiano e trovano un accordo a riflettori spenti non nel salotto col caminetto, ma nella stanzetta buia della fotocopiatarice. Eccoli i campioni del wrestling politico: tutta scena, tante belle capriole e capitomboli, una notevole capacità interpretativa, ma tutta finzione allo stato puro. La ‘mediazione’ politica è aborrita in nome di una ‘mediazione’ sotterranea, tra compari. Anche questo rende i vari Matteo ‘Matteo’ e Silvio ‘Silvio’. Parliamo della intimità con un compare, con uno che ammicca anche quando sembra darsele di santa ragione. Alla fin fine, che siano avversari non ci crede più nessuno, nemmeno loro (e lo sanno bene).

Fateci caso, invece: D’Alema non è mai ‘Massimo’, e Bersani non è mai ‘Pierluigi’, così come Speranza non è mai ‘Roberto’ e Fratoianni mai ‘Nicola’. Nel seppur piccolo spazio politico dove si posiziona LeU, la politica è ancora politica. Magari le interpretazioni non sono sempre adeguate, eppure il copione è quello giusto. Qui si faranno pure tetre analisi della sconfitta, ma ciò segnala quel tocco di tragedia che la passione produce quando c’è, e che la realtà oltre la rappresentazione ancora reclama come indispensabile. Qui la mediazione sembra ancora avere un senso, e le figure dialettiche sono ‘epifanie’ di un mondo più vasto e complesso dell’onomastica a uso mediale. Cosa manca alla sinistra per riemergere? Tante cose. Di certo non la necessità di salire sul ring della wrestling-mania politica italiana vestiti da Tarzan o da Ursus 2.0. Che non vuol dire negarsi ai media, ma vuol dire non ribaltare le priorità (la politica deve venire sempre prima della comunicazione) e non ridursi a maggiordomi di qualche guru o agenzia ben pagata, costretti a fare capriole che non sono capriole, inscenando una lotta che non è lotta.

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