Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il patto Draghi e il candidato della sinistra al Colle
Mentre la sinistra si divide tra chi vorrebbe Draghi al governo e chi al Quirinale, è già partita la maretta che porterà alla elezione del nuovo Capo dello Stato. Noterete una certa animosità di Renzi, che prima contesta a Draghi l’idea che la maggioranza elettiva del nuovo PdR debba essere la stessa attuale, e poi critica ancor più rumorosamente la legge di Bilancio e il metodo con cui è stata approvata. Ma come, Renzi non si è vantato di essere uno sponsor di Draghi (lui millanta persino il principale)? E adesso che fa, passa all’opposizione con argomentazioni parlamentariste? Siccome non credo a una parola di quello che dice l’ex Sindaco di Firenze, provo a immaginare che il vecchio patto con cui è stato innalzato al soglio di Palazzo Chigi Draghi stia denotando qualche scricchiolio.
Il primo scricchiolio è Draghi stesso, che si autocandida al Quirinale in diretta tv (come dire: ho fatto quello che mi avete chiesto, il mio mandato è finito, adesso voglio quello che ho chiesto io, ossia la Presidenza della Repubblica). A sostenerlo in ciò i maggiorenti europei, per loro bocca oppure mediante gli editorialisti di fiducia. Il secondo scricchiolio, viene dai contraenti del patto draghiano, di cui Renzi si fa portavoce (non so quanto effettivo): lavora zitto e buono, sembra dire il toscano, che al Quirinale ci pensiamo noi. Noi chi? La destra magari, da king maker, con la sinistra a caracollare dietro imbolsita? Tutto ciò, sotto la regia di qualche avventuriero politico e la candidatura-minaccia di Berlusconi, incombente magistralmente nell’aria. Scenario da incubo, direi.
Dicevo, la sinistra si divide sul nome di Draghi. Ma così facendo rischia di non toccare palla. Anche perché lo stesso possesso palla sembra tutto del centrodestra (almeno a sentire i media e il Renzi di prima), mentre noi ci limitiamo a fare da da sparring partner (quelli che prendono pugni in allenamento). A quando, invece, un’iniziativa vera del centrosinistra e di 5stelle, a quando il nome di un candidato di valore (non di una rosa), su cui si apra un dibattito nel mondo politico e nel Paese? Certo, siamo in uno stato d’eccezione e si rischia di essere vento nel vento, senza contare granché. Perché è vero che c’è un patto extra-parlamentare dietro l’ascesa di Draghi, ed è vero che in quel patto c’era anche la soluzione Quirinale. Ma nessuno si aspettava un percorso del PNRR così accidentato, anzi sembrava che il problema fosse Conte mentre con Draghi sarebbe andato tutto liscio a suon di bonus. Per questo cresce la preoccupazione dei maggiorenti e dei loro esecutori, e si alza il livello nervosismo in tutti quelli coinvolti nel patto Draghi, a partire da Draghi stesso.
La soluzione più probabile resta ancora l’attuale premier al Quirinale e un suo “fidato” a Palazzo Chigi. Il via libera del Financial Times questo sembra voler dire. Ma non è così scontato. C’è anche il rischio di un tristo figuro indicato dal centrodestra sul Colle, con Draghi costretto a continuare la sua opera oltre la scadenza quirinalizia suo magrado, rendendo per lui il Colle più alto tanto agognato una pia illusione. Non solo, ma anche diventando il bersaglio dei tanti clan politici alla vigilia del voto del 2023, che punteranno a scaricare tutte le eventuali colpe e responsabilità proprio sull’attuale Migliore. Vada come vada e qualsiasi cosa accada, la sinistra rischia di perdere la guerra prima ancora di combatterla davvero, entrando in partita nei minuti di recupero, a giochi fatti. È questo il punto su cui riflettere velocemente.


