Il Renzismo
Il Renzismo non è morto, non consideratelo tale o moribondo per l’infima percentuale elettorale che esprime. Non sono le piccole dimensioni a renderlo meno pericoloso: la vicenda del microscopico virus e della pandemia non vi ha insegnato nulla? Ma è una sottovalutazione anche ritenerlo il prodotto lineare delle vicende non sempre esaltanti della sinistra italiana dell’ultimo trentennio, una specie di figlio legittimo di quel che siamo stati in questi ultimi anni. Non è così. C’è stato un salto di qualità, c’è stata una mutazione, come accade per i virus appunto.
Non abbiamo effettuato in tempo una rarefazione politica nei suoi confronti, e bisognava mettere mascherine culturali in nostra difesa. Per di più, attorno al fenomeno c’è stato da subito un eccessivo assembramento. La novità non è stata colta, anzi è stata mal colta, proprio come quando si festeggiava ad aperitivi al motto “Milano non si ferma”, quando era proprio quello che il virus voleva. In realtà, il Renzismo è stato una novità sconvolgente e incompresa almeno all’inizio. Il punto è che siamo restii a cogliere le novità, le scambiamo spesso per deja vu. Pecchiamo di pigrizia. Grave errore.
La colpa di molti è stata, inoltre, averlo ritenuto una risorsa, oppure pensare: lo teniamo sotto controllo – o peggio: smetto quando voglio. Dissero così anche i borghesi conservatori e reazionari dinanzi a certi giovanotto facinorosi molti decenni fa, e sappiamo come è andata a finire. Pensate al Renzismo come a una cellula che si sdoppia, per andare a collocarsi in due (o tre?) formazioni politiche diverse. Giocando una specie di rimpiattino tra PD, IV e chissà cos’altro (Forza Italia, +Europa?). La sua identità è plurima, anzi è la stessa ma mimetica e sparsa qua e là, come fanno i camaleonti, che sono sempre gli stessi pur apparendo diversi.
Ovviamente, si tratta di una forma di parassitismo, per cui una specie o, come dicevamo, un semplice virus si collocano sfacciatamente in qualche organismo e ne prendono possesso sino a procurarne la morte in assenza di una terapia. Troppe metafore biologiche, dite? Beh, ci sono spinto quasi a forza. D’altronde, il nome ‘Italia Viva’ questo richiama, questa idea del virus, dell’organismo, della cellula sovvertitrice, della patologia che aggredisce un organismo, che già sanissimo di sé non è.
L’avvertimento è dunque al PD: si vaccini in via definitiva, e intraprenda una battaglia forte di rinnovamento. Faccia uno scatto in avanti, guardi al Paese che è più a disagio, che più soffre la crisi economica e gli effetti del virus – guardi al lavoro negato, alle figure sociali segnate dalle contraddizioni di un capitalismo straccione e questuante. E si scrolli di dosso, come si deve, la patologia che ha dentro ancor oggi. Serve una sinistra nuova, un partito plurale, una pratica quotidiana del disagio sociale. Non Scalfarotto, non le manovre bellico-politiche, non la confusione o peggio le mani di poker giocate vergognosamente su più tavoli da loschi figuri.


