Il riconoscimento dell’altro

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 28 giugno 2019

La Guardia Costiera italiana ha chiesto alla capitana Carola i nomi e cognomi delle persone accolte a bordo della Sea Watch. Lei ha risposto, giustamente, che non sa chi siano, che non è tenuta a identificarli, che lei si è limitata a ‘salvare’ quelle persone così com’era di dovere e di diritto. Ecco due forme possibili di ‘riconoscimento’. Per la prima, quella burocratica, ‘riconoscere’ è acquisire formalmente le generalità anagrafiche. Noi siamo il nostro nome. Siamo forma. Per la seconda, quella della capitana, ‘riconoscere’ è prendersi cura, tendere una mano, issare a bordo, salvare. Non importa chi tu sia formalmente, importa che tu sia un prossimo, uno che ha lontane origini geografiche, probabilmente, ma è vicino, è prossimo in termini di aiuto e solidarietà. Ti riconosco come l’altro da issare a bordo. Come l’altro da salvare. Il tuo ‘vero’ nome è la mia cura.

Oggi questa seconda modalità è quasi del tutto scomparsa, ed è quindi scarsamente praticata. Oggi quei valori di solidarietà, accoglienza, cura sono ritenuti desueti, così che prevale il paradigma immunitario per il quale io sono io, io mi riconosco nel mio bisogno di sicurezza, io mi ‘interno’. Io, al più, salvo me stesso. Tanto più se quell’Io si riferisce alla mia piccola patria, alla mio ristretto sodalizio, alla mia Terra, al mio presunto ‘popolo’: popolo di identici nella etnia, nella cultura, nelle pratiche, nel linguaggio. Popolo ristretto e soffocato in un destino circoscritto, quasi condominiale. Oggi che l’altro non è più riconosciuto, il nostro sguardo è rivolto soltanto al ‘proprio’, al sé di individuo ben chiuso nei propri confini, sordo e cieco a tutto, se non alla propria voce interiore.

L’esistenza, essenzialmente proiettata fuori di sé (ex-sistenza) è stata incartocciata verso la propria miseria interiore, verso il ‘proprio’ interno, verso ciò che ci appartiene (o presumiamo ci appartenga). Siamo estenuati nella difesa di noi stessi, preoccupati dal ‘rischio’ che corriamo. Ma senza questo slancio verso l’esterno, senza questa passione per gli altri, senza relazioni effettive e senza una rete che ci metta in contatto con le differenze che ci circondano, cosa resta della nostra sicurezza, cosa di quei valori, che senso ha il rischio? Resta, in tal caso, soltanto la loro pervicace manipolazione, restano valori che diventano ‘valutati’, assoggettati a una valutazione appunto, al calcolo, a interessi ristretti, a manipolazioni, a schermo per la proiezione degli egoismi individuali. In breve roba di destra, roba con cui la destra ci va a nozze. Donne e uomini ridotti al loro nome anagrafico, alla loro impronta, alle tracce biologiche. E al riconoscimento dell’iride invece che dell’anima.

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