Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il virus del Covid e quello “aperturista”
L’apertura, ormai, non è più solo un fenomeno fisico o sociale (riaprire porte, riaprire gli esercizi di ristorazione, riaprire la vita sociale), ma è anche, e soprattutto, una ideologia. A dimostrazione che le ideologie esistono ancora, seppure camuffate e non più “esercitate” da soggetti pubblico-privati come i partiti. Tant’è che potremmo definire “aperturismo” quella tendenza ad abbattere steccati, confini, identità, appartenenze, in nome di un unico grande mercato, al cui accesso tutto è subordinato. Anche la tecnica (che molti scambiano per la tecnologia, ma che è invece e soprattutto un’ideologia anti-politica e anti-partecipativa) è aperturista, e quindi punta ad allisciare tutti i piani possibili e cancellare ostacoli, di modo che, anche qui, l’accesso al mercato sia semplificato, facilitato, universale.
Con il Covid la lotta è tra sanità, salute e cura da una parte, e aperturismo dall’altra. Una lotta nemmeno troppo sorda, anzi. Il governo ne è traversato a pieno e presenta una tale faglia al proprio interno, che essa si presenta come occasione di lotta politica. Normale che sia così, visto che si tratta di un governo “impolitico” o “extrapolitico”, un foglio-mondo dove circolano tutti i linguaggi, ed è nato proprio dall’abbattimento surrettizio degli steccati politici piuttosto che, in positivo, quale effetto di un sistema di alleanze. Un governo che non ha un vero dentro o fuori, e che illude soltanto sulla possibilità di star fuori in modo produttivo, efficace, non solo comunicativo. Quel che accadrà sempre più è il tentativo di sfondamento che operano e opereranno la destra di Salvini e Arabia Viva, rappresentanti di quelle categorie “aperturiste” che, in massima parte, sono scettiche sulla pericolosità effettiva del virus, ritengono che si possa addomesticare il contagio anche circolando come formiche, e forse qualche decesso aggiuntivo toccherà pure metterlo in conto se vogliamo rialzare il PIL. Per non parlare dei numeri del piano vaccini ancora troppo bassi alla bisogna.
Agli “aperturisti” resiste e resisterà quella parte di società e di politica (e quindi di governo) che, giustamente, ritiene le riaperture ancora un azzardo, per di più insufficienti a rilanciare davvero l’economia se il contagio è ancora massiccio, se ci sono i morti nelle terapie intensive, se l’indice di fiducia collettivo è ancora basso, al massimo da take away. Quel che stupisce (ma nemmeno tanto) è il basso tasso di intelligenza circolante accanto al virus. Anzi il vero problema dei giorni nostri è che le epidemia tendono a diffondersi con più efficacia dei concetti e delle argomentazioni. E che questa sia una società dove il piacere non nasce più dal progettare la propria esistenza, dal sentirsi realizzati sul piano sociale, intellettuale o sentimentale, ma dalla quantità di carbonare fumanti sui tavoli delle trattorie oppure dalle file sempre più lunghe davanti ai check in aeroportuali.


