Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Kundera
Come sanno bene quelli che mi conoscono non ho un grande trasporto per la letteratura, men che meno a tempo perso, ad essa avendo sempre preferito la saggistica. Anche dovendo onorare obblighi trascendenti il piacere di leggere come tale. Se dopo alcune decine di pagine un romanzo non mi intriga, lascio perdere. Mentre col saggio arrivare sino in fondo è un dovere deontologico che si impone a prescindere dalla fatica. Però talvolta mi è capitato di avere sotto agli occhi prose letterarie capaci di superare lo scoglio (e lo sfoglio) del rodaggio in bellezza. Folgorazioni poi seguite da una bulimica ingestione di tutto quanto sciorinato dall’autore. Fino all’ultima pagina scritta. Nei ’90 fu il caso di John Fante e negli ’80 di due autori: Elias Canetti e Milan Kundera. Tutti e tre accomunati da una straordinaria capacità ironica, Canetti e Kundera, inoltre, anche dalla predilezione per il romanzo-saggio, nel quale si mescolano entrambi gli stili. L’ultimo testo che ho letto di recente di Kundera – I testamenti traditi – essendo un saggio di straordinaria erudizione e profondità. Di Kundera ho apprezzato non solo la felice scioltezza del linguaggio, ma il filo conduttore filosofico: la diserzione. La felice leggerezza con la quale trapassare ogni pesantezza pedagogica. Una investigazione dell’individuo e delle vicende umane che sta sopra, sotto, a lato dell’ingaggio ideologico, Che lo trascende, irridendone il lato grottesco e le pretese di ordinamento. Sublimandosi nell’universalità dell’arte. Un comunista spretato, più illuminato che disilluso, un democratico esistenziale più che ideologico. Un vero interprete della Primavera Dubcekiana, e che proprio per questo ha sempre rifiutato di imbrancarsi con la pattuglia degli anticomunisti e dei piagnoni liberali. Caso quasi unico nei paesi dell’Est, dai quali peraltro la Repubblica Ceca si distingue. Se non altro perchè lì il comunismo arrivò al potere con libere elezioni democratiche, e solo dopo si impose col colpo di stato di Gottwald. Se l’ingresso in Europa di tali paesi fosse avvenuto sulle note di Kundera, piuttosto che di un feroce antisovietismo, non assisteremmo allo strazio che ci ha travolto. Anche per questa sua irriducibilità allo stereotipo del povero vessato dell’est non ha avuto fortuna in patria e, probabilmente, non ha avuto il nobel. Qui voglio celebrare il grande uomo di cultura e il grande romanziere, ma è un argomento sul quale tornerò a bfreve


