Fonte: Il Fatto Quotidiano
Israele e un patrimonio dilapidato
Antonio Padellaro – Anna Foa ha scritto: “Sono immagini che ricordano il Biafra della fine degli anni Sessanta e – mi azzardo a dirlo anche se ho fin qui rifiutato di fare paragoni con la Shoah – le immagini dei deportati ebrei nei campi. Sono le immagini della fame che porta alla morte”. A proposito dei “settori integralisti ora al comando in Israele”, il cardinale Augusto Paolo Lojudice ha detto che essi “per colpa di scelte dissennate commettono le stesse atrocità compiute su di loro”. L’indicibile viene detto: si è giunti a un punto di non ritorno. Il limite oltre il quale per ottant’anni nessuno si era mai spinto per rispetto alla tragedia delle tragedie, l’Olocausto, viene adesso oltrepassato. Chi ha osato farlo non può essere tacciato di antisemitismo o accostato ai cultori della violenza, non solo verbale, Pro Pal. Anna Foa è una coraggiosa scrittrice ebrea, la storica autrice di quel Suicidio di Israele, best-seller sulla mostrificazione subita dall’unica democrazia del Medio Oriente per colpa di Netanyahu e dei suoi ministri alla folle ricerca del potere assoluto. Il cardinale Lojudice rappresenta il magistero della Chiesa cattolica alla ricerca disperata di una pace resa impossibile da chi ha spazzato via il senso dell’umanità. Voci forti e non più isolate: il 47% degli italiani ritiene che il comportamento israeliano sia paragonabile a quello nazista (sondaggio di Repubblica). Anna Foa cita la foto sulla copertina del quotidiano inglese Daily Express del 23 luglio: “Un bambino scheletrico tra le braccia della madre, con un sacco nero della spazzatura come pannolino. La sua bocca è aperta quasi a gridare aiuto. È un bambino di Gaza e sta chiaramente morendo di fame”. Dall’immagine di un altro piccolo essere consumato dagli stenti, l’altro giorno sulla prima pagina del Fatto (“Se questo è un bambino”), abbiamo distolto lo sguardo. Ha scritto su queste colonne Fabio Bucciarelli che il coraggio dei giornalisti palestinesi “ci costringe a guardare in faccia l’orrore, nel comprendere chi siamo, di cosa siamo capaci e di come siamo capaci, come esseri umani, di commettere un altro genocidio”. Quando “il linguaggio si sporge oltre l’indicibile celebra la morte dell’umanità”. Gad Lerner lo aveva previsto da tempo: “Sembra che gli ebrei abbiano esaurito il credito che fu loro concesso a suo tempo in quanto popolo vittima dell’Olocausto”.
C’è chi teme “che si arrivi a rovesciare, invertire il significato dello sterminio degli ebrei d’Europa nell’immagine dello sterminio dei palestinesi di Gaza” (Giuliano Ferrara sul Foglio). In quel 7 ottobre di due anni fa quando i lupi di Hamas sterminarono 1194 tra civili israeliani e militari e ne rapirono altri 250 il mondo civile pianse con Israele. E scagliò la maledizione su quei terroristi accomunati ai nazisti. Come è stato possibile in così poco tempo dilapidare quell’immenso patrimonio morale?


