La cazzarola piddina

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 21 dicembre 2015

Non capisco questa discussione sulla crisi dei partiti ‘tradizionali’ e la conseguente necessità di ‘grandi coalizioni’. La riprende Massimo Cacciari oggi sulla Stampa, che, a tal proposito, ritiene le coalizioni (grandi) l’unica strada percorribile dinanzi al ‘vuoto’ dei partiti ‘tradizionali’. Una specie di inderogabile necessità dei tempi. Due osservazioni. La prima: le coalizioni non sono una scoperta attuale. L’Italia per decenni (prima repubblica) è stata governata da alleanze e coalizioni, prima che si decidesse che ci doveva essere un solo, rapidissimo vincitore grazie a fulminee regole maggioritarie. La seconda: ‘coalizzarsi’ non è affatto una vergogna. E non si tratta per nulla di una necessità indotta dalla crisi, un segno di disincanto, ma di un’opportunità, una normalissima modalità di governo nelle democrazie rappresentative, grazie a cui costruire un esecutivo senza rinunciare al bene della rappresentanza, con la sola asticella di talune ‘soglie’ d’ingresso per evitare una polverizzazione del voto.

Cacciari confonde, poi, ‘coalizione’ con ‘contenitore’ quando addebita a un Renzi lungimirante la realizzazione di un partito che sia di per sé una grande coalizione: il famoso ‘partito della nazione’ di destrosinistra, appunto. Ma il PD non è affatto un simulacro di grande coalizione, il PD è semplicemente una cazzarola, come si dice in dialetto, una pignatta, un pentolone dentro cui si rimescola tutto e il contrario di tutto con un unico collante ideologico: stare al governo, gestire potere, vincere poltrone. Punto. Renzi ha interpretato la crisi della rappresentanza e la ‘virata’ verso l’esecutivo forte a modo suo, aprendo a tutti e al contrario di tutti il suo contenitore. E chiedendo di governare da solo, pur disponendo di una forza minoritaria, tanto più dinanzi a una grande mole di astensionismo e di sfiducia. All’appello del PD-cazzarola stanno rispondendo tutti, ex SEL come ex Forza Italia, andandosi a rinserrare gomito a gomito in quel ‘contenitore’ asettico, neutralizzato, tecnicizzato che è il partito renziano. La cui immagine simbolo è proprio la Leopolda, col suo ‘molluschismo’ politico e il clima da quinta televisiva

Una coalizione è invece politica, politica allo stato puro. E non deve essere per forza una ‘grande’ coalizione (che sarebbe ancora coerente col motto “tutto il potere all’esecutivo”) ma soprattutto, con soglie opportune di ingresso, una coalizione di sinistra, o di destra, o di centro, o di centrosinistra e centrodestra. D’altra parte le alleanze erano il sale della politica italiana, quando l’Italia era forse migliore di adesso, pur con tutte le sue ingiustizie e la sua arretratezza. Le coalizioni sono un modo per consentire la rappresentanza più ampia possibile, un modo per sanare la crisi che la pervade. Se una ferita è aperta (quella della rappresentanza e della fiducia verso la politica, appunto) la si sutura, non la si amplia. Ecco: il maggioritario allarga invece la ferita, restringe il campo ai ‘vincenti’, ricaccia i ‘perdenti’ e i non rappresentati nel binario morto dell’astensione, fa un selezione all’ingresso tra chi vota il grande-vincente e chi il piccolo-perdente (e quindi è spinto a non votare), generando ulteriore sfiducia. Il motto per cui ‘vince-solo-uno’ è l’anticamera della post-democrazia, è come dire ‘tutto il potere all’esecutivo’, ossia al comparto più opaco e più circoscritto della vita democratica. L’ultra maggioritario, in fondo, è il viatico di lusso di chi vorrebbe (vuole) restringere la ricchezza e la complessità delle nostre democrazie per restringere artificiosamente lo spazio del potere a pochi noti (e ai molti ignoti di cui nessuno sa nulla).

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