di Alfredo Morganti – 22 marzo 2016
La politica sotto specie comunicativa, da una parte, riduce tutto alla presenza asfissiante dei protagonisti sui media, e dall’altra, conseguentemente, spinge in piccole stanzette buie i più rilevanti momenti decisionali. Massima ‘chiarità’ (direbbe Cacciari, ma con altro senso e ambizioni culturali) della presenza da una parte, massima oscurità dei deliberati dall’altra, in vista della loro formale approvazione a colpi di fiducia e votazioni forzate. Con l’avvertenza, sempre più palese, che la politica dovrebbe invece collocarsi in un equilibrio mediano, dove si comunica senza ridursi a questo atto del comunicare, e si decide ma nelle sedi istituzionali preposte (i Parlamenti, le assemblee, gli esecutivi, i congressi).
La politica ha sempre ‘comunicato’, perché non sarebbe esistita senza informare i cittadini, pubblicare le leggi, spiegare agli elettori i propri programmi. Ma oggi la comunicazione la surroga quasi integralmente, con l’effetto palese di spostare l’effettivo ambito decisionale in luoghi il più possibile appartati. Anzi: proprio per spostare le decisioni nelle stanze private, si accendono riflettori altrove, possibilmente sul viso dei protagonisti che,in linea di massima, producono retorica e flatus vocis.
Le cose cambiano. Quando era di scena la semplice propaganda, questa si faceva sugli atti, sui fatti, magari per travisarli e presentarli in forma diverse dalla realtà. Ma si agiva sulle cose, a partire da esse, dalla loro consistenza reale ed ideologica. Oggi no. Oggi i fatti sono scomparsi dalla vista, nessuno o pochi li conoscono. Per i cittadini solo parole e gesti inscenati sotto i riflettori dei media. Una bruma di spot e messaggi che fa da cortina alle cose. Tant’è che la comunicazione-politica è ormai autonoma dalla politica, vive di per sé. E oggi, nelle urne, si vota la comunicazione, si scelgono e si premiano le campagne, le storie, le narrazioni, non più la politica, che resta confinata in un angolo decisionale dove ristretti clan, oligarchie, cerchie, lobby decidono a prescindere dal risultato elettorale. Anzi, a discapito di esso. ‘Chi’ decida, ‘chi’ è il sovrano è un classico problema di democrazia che oggi ritorna in modo allarmante.
Non che sia tutto così, anzi. La politica non è stata cancellata del tutto. Non tutto è tecnica di governo. Non tutto è media. Ma queste sacche di resistenza debbono rialzare la testa se non vogliono accettare, di fatto, le regole attualmente in vigore e divenire residuali. C’è da scardinare una cerchia lobbistica, c’è da rompere la quadra delle destre che si sovrappongono alle sinistre. Bisogna in qualche modo ripristinare l’idea di ‘parte’ in politica, bisogna contrastare questo ‘tutti con tutti’ perpetrato in nome dell’emergenza e del presunto bene del Paese. Si percepisce una grande unità di fondo oltre i vecchi confini che rende tutto vischioso e impalpabile. Bisogna infrangerla. La politica ridotta a comunicazione è il principale agente dello sfascio.


