La cultura borghese fa acqua

per fiore di salvo

di Fiore, 20 marzo 2017

Il compromesso è un’azione attraverso la quale due parti contendenti trovano un accordo, cedendo su qualcosa da ambo le parti. Ma è anche un aggettivo che indica qualcosa che si è rotto irreparabilmente. Quando questo si fa storico significa tutte e due le cose.

E i compromessi, si sa, sono come le ciliegie, uno tira l’altro. Se ti accoppi con una medusa non ti accorgerai subito di esserti appiccicato addosso l’essere gelatinoso che finirà per digerirti, impiegherà del tempo ma lei non ha fretta, quando anche il ferro del tuo martello e della tua falce saranno decomposti dopo aver assunto sembianze di querce e di ulivi, tutto sarà finito, e le ossa di quelli che avevano forgiato il ferro si agiteranno nelle fosse. Produrranno schiocchi inudibili perché il senso dell’udito avrà sviluppato altre capacità, percepirà solo il canto delle sirene che ti incanta intanto che vieni sbranato.

Per questo non ci piaceva quel compromesso, intuivamo confusamente che l’orizzonte si faceva deserto.

Ma l’élite vedeva più lungo, si faceva classe dirigente, cominciava ad affollarsi attorno al tavolo del buffet. Nei week end però andava a Capalbio e lì, alla luce dei falò, tirava fuori la chitarra e cantava l’Internazionale.

Per questo andavano puniti.

Fu così che tre scimuniti decisero di castigarli nel momento dell’autocelebrazione, durante un bel convegno all’interno di un cinema romano.

Il commando era composto da Paolone, Giggi il Pompa (faceva il benzinaio) e Toto, proprietario di una millecento che già allora poteva considerarsi macchina d’epoca. Mentre Toto attendeva in macchina col motore acceso perché un commando deve colpire e dileguarsi, Paolone e il Pompa salirono le scale della galleria del cinema, andarono nei bagni e tirarono fuori da sotto i giubbotti capaci buste di plastica che riempirono d’acqua. Poi si affacciarono sulla platea e, al grido “La cultura borghese fa acqua!” scaricarono le buste annaffiando il cachemire sottostante.

Però non avevano calcolato bene i tempi dell’azione e, quando di corsa arrivarono al termine delle scale, trovarono una folla bagnata e inferocita ad aspettarli. Furono catturati e inizialmente morbidamente malmenati, cosa vuoi pretendere dagli intellettuali, per Paolone e il Pompa quelli non erano cazzotti, erano carezze.

Il vero supplizio doveva ancora arrivare, vennero spinti all’interno della platea e lì subirono la gogna del dibattito. Loro due a corto di argomenti, ma forniti di rocciose ed elementari certezze, contro una folla di parolai che riuscì a umiliarli col fumo delle chiacchiere. Toto, intanto, aveva spento il motore per non consumare le due gocce di benzina che gli erano rimaste.

Di tempo ne è passato parecchio e noi abbiamo perso, spero che però quei tre, almeno, qualche raffreddore lo abbiano causato.

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