Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La destra e la sinistra alla prova del presente e del futuro
La destra politica è a pezzi, diciamolo. Senza parlare di immigrazione e di barconi non sanno che dire né sanno che fare. Quindi si muovono in libertà: quello vuole la confederazione, l’altra risponde no comment ma pensa in cuor suo di prendersi tutto, il Cavaliere invece preferisce collaborare col governo in Parlamento piuttosto che finire ingoiato da Salvini. Io credo, in sostanza, che la sinistra politica debba più che altro temere se stessa, ecco la morale. E debba temere di non saper cogliere fino in fondo l’opportunità della fase, nella quale guida il Paese in un momento particolarmente tragico.
Quali presupposti? Il primo è la necessità diffusa di solidarietà e di cura, che oggi si oppone alle modalità e agli stili tipici dell’individualismo proprietario e competitivo della destra. “Nessuno si salva da solo” è un motto che si presenta come un imperativo categorico. Il secondo riguarda la necessità che il ‘pubblico’ torni a svolgere un ruolo essenziale nella organizzazione civile. Intendo sanità, scuola, trasporti, assistenza, cura. Tutte cose che la destra (e in questi anni anche parti consistenti della sinistra) ha gettato spesso in un cesso, spalancando il mercato a tutti i bisogni, anche a quelli che riguardano la vita, le esigenze collettive, la formazione e la cura della salute. Terzo presupposto, l’idea che la politica possa riassumere un ruolo primario, di mediazione, di indirizzo, togliendo potere al mercato, alla lotta senza regole tra individui e tra potentati, garantendo la necessità che gli ultimi, i più fragili, gli sfruttati possano essere tutelati. Quarto presupposto, la sinistra è già al governo e sta facendo bene il suo mestiere. Non è poco, anzi è un ottimo punto di abbrivio per gli anni futuri. Meglio che presentarsi come un’opposizione fragile, frantumata, rissosa, granulare.
Se non sono presupposti questi, cosa sono? E se questo è vero, cosa impedisce di affrontare un percorso politico unitario che porti alla nascita di un raggruppamento largo, plurale, aperto, inclusivo, che non sia solo una federazione di classi politiche ma un affare di popolo, di cittadini, di lavoratori, a cui chiedere di sostenere la sfida, di esserne partecipi, di determinarla? Non c’è sinistra senza condizioni sociali e culturali (i presupposti di cui dicevamo) ma neanche senza persone che si facciano motori del progetto. Tutto marcia assieme e fa sponda reciprocamente: condizioni e persone, contesto e pluralità di soggetti. L’unità è nei principi, nei valori, nelle scelte, nelle decisioni che vengono intraprese. E se poi questa unità diventasse anche ‘l’Unità’, sarebbe un’agevolazione in più per tutti.
Non sarà l’ennesimo piccolo partito a salvarci (nemmeno a salvarci la dignità), ma un’unità grande di popolo e istituzioni, di cittadini e classe politica. D’altronde la politica è unità, ricomposizione, non altro. Tutto ciò che è divisivo favorisce la destra, lo abbiamo visto con Renzi, che non a caso è stato rimandato a casa sua. È una riflessione che dovevo anche a Nadir Welponer, che mi sollecitava sulla necessità, credo di capire, di fare un partito piccolo ma identitario e coraggioso. Ecco io credo che il partito serva invece grande e inclusivo. Solo così potrebbe essere quella cosa di sinistra che serva davvero al Paese.


