La governabilità non è una questione ‘tecnica’, i partiti non si surrogano coi meccanismi elettorali

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 21 luglio 2016

Adesso il ballottaggio mette davvero paura. Napolitano dice che c’è il rischio che si lasci il governo del Paese a una forza scarsamente legittimata al primo turno. Mesi fa, quando c’era chi lo diceva, si rispondeva con i voti di fiducia – oggi si agita lo spauracchio. A me, più che una svolta, mi sembra il panico. La soluzione per taluni è il ballottaggio multiplo, ovvero (nel linguaggio calcistico-politico di questi tempi) uno ‘spareggio’ tra chi ha superato al primo turno almeno una certa soglia, tipo il 17%. In questo modo, si dice, si evita che gli elettorati dei 5stelle e di centrodestra si fondano contro il PD. Una ragione strumentale, insomma. Contingente.

Mi chiedo però, cosa cambia nell’eventuale transito dal ballottaggio a due allo spareggio multiplo tipo play off? Io dico nulla, dal punto di vista sostanziale. Di fatto sarebbe come ripetere il primo turno tagliando fuori le forze minori. Una specie di deja vu, dove gli elettori in linea di massima ripeterebbero il voto già assegnato in prima battuta. Il ragionamento che si fa è questo: se il PD vince il primo turno, allora vince anche il secondo. Le leggi elettorali, in fondo, oggi si cambiano solo per far vincere qualcuno e far perdere qualcun altro, non per stabilire quale sia il più adeguato meccanismo di trasformazione del consenso elettorale in seggi parlamentari.

Qual è il punto vero, difatti, quello che non si risolve comunque, nemmeno introducendo lo ‘spareggio’ oppure i play off? È il problema della rappresentanza, ossia della legittimazione, della prossimità, della fiducia dell’elettorato verso le proprie assemblee elettive. Con un’astensione del 40%, ossia con un alto tasso di sfiducia, tutte le percentuali vanno riportate a base 60%. Così che, se anche vincesse un partito che al primo turno aveva il 30%, si assegnerebbe di fatto il 55% di rappresentanza e potere reale a chi, sì e no, raccoglie il 20% scarso di consenso reale, quello contabilizzato sui votanti effettivi, ossia sui ‘partecipanti’ reali al voto. Consegnare un potere maggioritario a un nano, non per questo vuol dire che quel nano sappia effettivamente sostenerlo.

Si dice: ma c’è un problema di governabilità! Tuttavia la governabilità non è MAI il risultato di un artificio tecnico, non è tecnicismo applicato al consenso, non è una ‘forma’ che si impone posteriormente (grazie a un meccanismo elettorale) al voto. C’è governabilità effettiva solo quando si instaura, ancor prima, un rapporto di fiducia, di legittimazione, di adeguata rappresentanza tra le istituzioni, le assemblee elettive e il popolo, i cittadini, gli elettori. Ma perché ciò accada servono i partiti, che sono la fonte collettiva più rilevante di consenso e legittimazione in una democrazia moderna, rappresentativa.

I partiti non sono surrogabili da alcunché di tecnico. Con la loro scomparsa, scompare ogni forma egemonica, ogni legittimazione, ogni prossimità politica e culturale alle istituzioni. Tutto diventa cattivo sociale e cattiva economia. Senza i partiti vien giù l’edificio della democrazia rappresentativa, e al suo posto subentra una lotteria denominata maggioritario, ballottaggio, premio, ‘governa chi vince’, ‘la sera della domenica si deve sapere chi ha vinto e chi governerà’. Chiacchiere, tutte chiacchiere. Quando lo si capirà, nasceranno finalmente processi politici alternativi e sgorgherà quasi naturalmente dal cilindro una legge elettorale proporzionale, con sbarramento, dove i partiti potranno tornare a giocare (nelle istituzioni, nel Paese) un ruolo di raccordo, egemonia, legittimazione, rappresentanza e governo.

Se non lo si farà, tutto resterà precario, tutto dovrà affidarsi all’uomo solo, ai suoi tweet, ai suoi capricci, alla sua presunzione, alla sua immagine pubblica e privata, al suo presenzialismo, alle chiacchiere, al potere dei media, alle lotterie elettorali, all’astensionismo, alla disaffezione, alle divisioni invece dell’unità nazionale vera, di fondo. Non quella invocata a posteriori dall’ex Capo dello Stato, dopo che per una stagione intera si è diviso, frantumato il fronte politico, sottoposto il Parlamento a sequele di voti di fiducia. È semplice.

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