LA MENTE E’ NATURA INVISIBILE, LA NATURA E’ MENTE VISIBILE
ALEXANDER VON HUMBOLDT E FRIEDERICH SCHELLING
La madre dei fratelli Humboldt aveva chiesto a Goethe consigli per l’istruzione dei figli. Una coppia di fratelli, aveva risposto Goethe, rispecchia la molteplicità delle ambizioni umane, è uno spettacolo teso a colmare di speranza i sensi e di svariate riflessioni lo spirito. Voleva intendere che uno dei figli sarebbe divenuto un uomo di cultura, l’altro un uomo di scienza. Il fratello maggiore Wilhelm infatti parlava come un poeta, era serio e studioso, e chiunque lo incontrasse ne restava colpito ed affascinato, Alexander era avventuroso, inquieto, interessato in conoscere il mondo da vicino.
In compagnia di Goethe, Alexander von Humboldt conduceva nel 1797 osservazioni sull’elettricità animale seguendo gli esperimenti di Luigi Galvani. Tra i vari interessi di Goethe c’era l’osservazione della Natura, ed insieme i due si chiedevano se la materia organica fosse retta dalle stesse leggi della materia così come le aveva concepite I. Newton. In fondo, stavano mettendo in discussione il concetto di materia inerte e cercavano di dare nome alle forze presenti in Natura. Come si poteva spiegare la materia vivente? Questa domanda li accompagnerà tutta la vita.
Goethe era entusiasta di aver conosciuto Alexander che il fratello maggiore Wilhelm gli aveva presentato conoscendo l’interesse del poeta per le scienze. E come detto, Alexander amava l’avventura e desiderava conoscere il mondo circostante osservandone le proprietà con misurazioni sistematiche. Mentre Wilhelm aveva trovato rifugio nei libri e nella scrittura, Alexander vedeva il suo cammino tracciato nell’osservazione attenta e precisa. Voleva esplorare regioni lontane, collezionare rocce, piante, animale, semi, ma il suo interesse profondo era volto a indagare come le diverse forze erano interconnesse tra di loro.
La presenza di Alexander coincise con il periodo più produttivo di Goethe, che stava lavorando alla sua teoria dei colori, la metamorfosi delle piante, lo studio degli insetti e le differenti fasi del loro sviluppo. Il suo studio divenne un piccolo laboratorio con strumenti e fiale, e delle sue indaginu teneva regolarmente informato l’amico Schiller. Alexander allargava il suo campo di osservazione alla geologia, la botanica, il magnetismo terrestre, la chimica, la medicina. Nei suoi viaggi si inoltrò nella selva, navigo sull’Orinoco, scalò montagne e vulcani, si addentrò in grotte. Portava il barometro dovunque per esercitarsi a misurare altitudini. Stimolato da Alexander, in quel periodo fecondo Goethe tornò ad indagare le forze che modellavano le piante, distinguendo saggiamente la forza interna archetipica dalle forze mutevoli dell’ambiente.
Wilhelm lavorava intanto a traduzioni di Eschilo e consigliava Goethe sulla metrica. Nell’appartamento di Schiller, Goethe recitava la sera le sue poesie, Alexander presentava i suoi risultati sull’elettricità animale, Wilhelm Von Humboldt leggeva ad alta voce opere e brani di Schiller, oppure le traduzioni al tedesco di Giulio Cesare ad opera di Caroline Bohmer e Wilhelm Schlegel, oppure estratti delle pubblicazioni sull’antica Grecia scritte da Friederich Schlegel.
Goethe sosteneva che la poesia e la scienza non andavano considerate come antagoniste. Nel Fausto il protagonista aspira alla conoscenza illimitata come Alexander. Nel suo saggio “Le affinità elettive” Goethe lascia intravedere la conoscenza del linguaggio della chimica, dove l’affinità è il termine usato per indicare le forze che legano insieme le sostanze.
Anche Alexander si beneficiò del sodalizio con Goethe, e col passar del tempo il suo modo di vedere il mondo esterno passò dalla indagine empirica diffusa a una interpretazione della Natura in chiave ideale. Arrivò a scrivere, molti anni dopo, che il mondo esteriore si arricchisce nella misura in cui lo accogliamo al nostro interno. La concezione della Natura connessa con l’immaginazione: ecco l’influenza che Alexander riconobbe con gratitudine a Goethe, perché il poeta lo aveva dotato di nuovi sensi. E gli dedicò il suo saggio sulla geografia delle piante, dove sulla copertina Apollo alzava il velo alla dea della Natura, lasciando intendere che la poesia dovesse fare suoi i misteri del mondo naturale. Sul vulcano Chimborazo, dopo una difficile escursione oltre i seimila metri, esclamò commosso:” la Natura è un insieme vivente dove tutto è interazione e reciprocità”.
Ma Schiller aveva profeticamente avvertito che quanto più le frontiere della scienza si allargano, tanto più si restringe il regno dell’arte. E non intravedeva futuro per il giovane e impetuoso Alexander, che sarebbe invece divenuto il padre della geografia moderna, descritto da C. Darwin come lo scienziato viaggiatore.
Nel 1978 al gruppo entusiasta di filosofi e poeti si unì il giovane Friederich Schelling che a 23 anni era già docente di filosofia all’Università. Era conosciuto e stimato da Fichte, Novalis e A. W. Schliegel. A Tubinga Schelling aveva condiviso l’abitazione con i giovani F. Holderlin e G. Hegel. Aveva sfidato i due amici a osare sempre più, a riunire ciò che era separato, ad andare oltre le divisioni tra filosofia, mitologia, poesia. Come già auspicato da Novalis e i fratelli Schlegel, anche i tre giovani Schelling, Hegel e Holderlin volevano poeticizzare le scienze, ridarle le ali. Seguendo Schiller e le sue lettere sull’educazione estetica dell’uomo, i tre vedevano nella bellezza la chiave di volta per unificare tutto. Schelling all’inizio si era ispirato a Fichte nel suo libro “L’Io come principio della filosofia”. Nella sua visione posteriore aveva sviluppato a fondo l’idea della “filosofia della natura”, secondo la quale l’Io e la natura costituivano una totalità interconnessa.
Goethe apprezzava Schelling trovandolo brillante, colto, interessato alle scienze naturali, e intercedette per un incarico all’università. Schelling era attratto da tutto e manteneva con i suoi giovani amici un fitto rapporto, e insieme nutrivano il progetto romantico di poeticizzare tutto.
A Goethe piaceva l’idea di avvicinare scienza ed arte, e lavorò al progetto di mettere in versi il suo saggio sulla Metamorfosi delle Piante. Le dispute con Fichte e Schiller si alimentavano di continuo, tra Fichte che biasimava coloro che basavano le loro conoscenze sulla osservazione e l’esperienza e Goethe che rivendicava di aver appreso tanto dall’osservazione degli animali e sul come essi erano formati dall’ambiente, non da categorie mentali o da immaginazioni. Come poteva la filosofia spiegare tutto con il solo punto centrale dell’Io? Credevano i filosofi davvero che l’Io nella sua auto percezione fosse sufficiente a generare il non-Io o quanto meno la sua conoscenza? Come riunificare ciò che i filosofi hanno diviso per gettare le basi della libertà umana? Goethe argutamente concludeva di essere felice nella sua esistenza indivisa.
Shelling acquistò rapidamente fama e ammirazione da parte dei suoi studenti, alcuni dei quali erano coetanei. Credeva che il sé e la Natura fossero identiche, e invece di dividere il mondo in mente e materia come aveva insegnato Cartesio, affermava che tutto era unito da un legame segreto. Offriva ai suoi studenti un assaggio di futuro, non una riflessione sul passato. Al posto di un mondo frammentario come ingranaggi di una gran macchina, alludeva a una realtà unitaria, un unico organismo universale.
E se mente e Natura erano una sola cosa, allora la mente è Natura invisibile, la Natura è mente visibile. Quindi abbiamo accesso ai processi interni della Natura e la facoltà di conoscerli. Comprendiamo la Natura vivente quanto e come comprendiamo noi stessi.
Gli studenti erano entusiasti di Schelling, capivano che non bisognava solo osservare ciò che vedevano ma occorrava apprendere a sentire.
Gli uomini di scienza osservavano al microcopio e al telescopio, dissezionavano il corpo, descrivevano la circolazione del sangue, classificavano minerali, piante e animali in rigide categorie e imponevano un ordine al mondo per comodità ed economia di pensiero. Ma quella visione razionale e poggiata quanto possibile sulla matematica trattava il mondo come un vasto oggetto. Restava pur sempre qualcosa di inspiegabile e misterioso nella relazione tra l’essere umano e la Natura che nessuna misura e nessun calcolo poteva colmare.
FILOTEO NICOLINI
Basato sul saggio di Andrea Wulf “Magnifici Ribelli. I primi romantici e l’invenzione dell’Io”. Edizioni LUISS


