LA NATURA SILENZIOSA
Si chiede la poeta Jorie Graham nel libro “2040” *:
” Puoi sentirti respirare? Puoi aiutarmi? Puoi sentire la mosca? Puoi sentire l’albero? No, non intendo il vento, voglio il respiro dell’albero dalla corteccia. Puoi, dicono i fili d’erba, ascoltarci? Noi possiamo sentirti sentire le gocce d’acqua su di noi, leggere e pesanti di luce. Puoi sentire questa evaporazione? Puoi continuare a benedire, continuare a non pensare, ricordare a te stessa del tuo stesso respiro, e ciò che cresce-foglie radice linfa, il sole che sprona il fiore?”
E aggiunge: leggere poesia, viverla attraverso una lettura profonda e attenta è salvifico per il corpo e per l’anima. Sacrosante parole! Manca il respiro a tutti noi, non solo perché la vita fisica è soffocata dall’aria tossica, dall’ inquinamento, gli incendi, i gas di scarico. È il respiro dell’anima divenuto asfittico, è il cuore che deve risvegliarsi dalla solitudine in cui si è lasciato confinare, per ritrovare lo spirituale. Ma lo sguardo nostalgico della poeta ci offre la possibilità di riscoprirne la carenza.
A che cosa si riferivano gli Antichi quando usavano la parola aria? La parola per designare l’elemento associato all’atto della respirazione, serviva allo stesso tempo per esprimere il rapporto col Divino, o anche la stessa Divinità. Basti pensare alle parole Brahma e Atma della antica India, al Pneuma dei Greci, allo Spiritus dei Romani. Nella Bibbia c’è la narrazione del soffio immesso nell’essere umano che così diviene una anima con vita. Doveva essere introdotta spirito nell’essere appena creato perché divenisse pienamente umano.
Oggi l’aria è divenuta un prosaico miscuglio di gas che si studia a scuola, in quanto il pensiero vive in astrazioni elaborate dal cervello fisico, nell’organismo fisico, che non sperimenta più il reale ma una parvenza a causa della nostra costituzione attuale. Il mondo diviene per questo un oggetto percepibile con i sensi fisici.
La realtà dà a noi qualcosa di vivente. Ma noi soffochiamo questa realtà vivente affinché possa divenire esperienza percettibile con i sensi. Lo facciamo perché, se dovessimo sperimentare in tutta la vitalità il rapporto col mondo esteriore, non potremmo giungere all’auto coscienza. Senza l’indebolimento di questa vitalità ci sentiremmo membri di una unità più grande, organi di un organismo più grande. Sono le attuali condizioni di sviluppo della nostra anima che esigono lo smorzamento del rapporto vivente col mondo. Prendiamone allora coscienza attraverso la sensibilità che l’anima poetica ci offre quale dono!
Se guardo la natura che mi appare muta, posso almeno riconoscere che è opera del divino. Ma se guardo al mio interno sento la mia insufficienza. Perché una cosa è così lontana dall’altra?
Lo spirituale possiamo riconoscerlo solo quando si prendiamo la briga, almeno in piccola parte, di diventare diversi da come siamo stati finora. Una sana riflessione ci dovrebbe condurre a prendere le mosse dalla meraviglia di fronte alla natura, e poi accostarsi con riverenza, con sentimenti di venerazione. Dovremmo lasciare parlare appunto le piante, le foglie, gli alberi. Se contempliamo il mondo vegetale nel suo verdeggiare e nella sua variopinta fioritura, lasciandoci rivelare ciò che sono, allora allora questo mondo diviene diverso, i suoni, i colori, le forme si trasforma e diventa qualcosa di nuovo. Sentiremo come una attivazione interiore, una mobilità. Qualcosa che non possiamo non designare che come una volontà all’opera. Quando muoviamo incontro al mondo dei sensi, tutto ci appare come volontà operante, un mare di volontà differenziata operante. Poi, nel momento in cui guardo una foglia, sento che la foglia cresce al di là di sé stessa, sento che quella foglia verde e viva ha la possibilità di diventare qualcosa del tutto diverso. Si sa che se a poco a poco essa cresce verso l’alto, da essa si forma il petalo colorato. L’intera pianta è veramente una foglia trasformata. Chi contempla in questo modo una foglia, vede che la foglia non è ancora finita, che essa vuole andare al di là di sé stessa. Vede una vita germogliante. Se invece contemplo una scorza d’albero, mi sentirò invaso da un senso di deperimento, di morte. Secondo l’apparenza, potrei anche ammirarla quella corteccia, ma non avvertirei allora il senso del deperire, del decomporsi. Non vi è allora più nulla nella natura vegetale che non susciti il senso del crescere e del divenire e del germogliare, oppure il senso del deperire, del decomporsi. È il mondo del nascere e del perire, e intuisco che ciò che vi sta dietro deve essere saggezza, saggezza operante.
Si può procedere su questo cammino appena accennato. Abbiamo almeno scoperto che nel mondo esteriore dei sensi abbiamo volontà operante, come nel nostro corpo fisico c’è volontà all’opera. Non ci sorprende, perché il corpo fisico umano è anch’esso una parte del mondo esteriore dei sensi. Poi, dietro al mondo dei sensi abbiamo trovato il mondo del nascere e del deperire, la saggezza operante. Dalla sostanza della saggezza operante siamo formati anche noi, è il nostro corpo eterico! È il mondo del nascere e del deperire, a noi ben familiare. Quante cose si possono dunque imparare dalle osservazioni poetiche, sul cammino da percorrere quando si osserva la natura un po’ più a fondo!
FILOTEO NICOLINI
*JORIE GRAHAM, 2040, Crocetti Editore.


