La nuova diplomazia mafiosa e la fine delle guerre di mafia

per Vincenzo Musacchio
Fonte: in esclusiva

di Vincenzo Musacchio – 22 novembre 2017

(Le nuove mafie non si combattono più ma si alleano tra loro per sostituirsi definitivamente allo Stato)

Le cronache recenti narrano che le organizzazioni mafiose in Italia sono piene di lotte intestine. Questo accade, in realtà, solo per la lotta al potere e alla leadership. Tali conflitti non hanno mai portato, in Italia, a una guerra tra le tre grandi mafie del Paese: cosa nostra, ndrangheta e camorra. Non c’è bisogno di un conflitto per stabilire una gerarchia tra le organizzazioni criminali. A stabilire chi sia il più forte sono molteplici fattori: controllo del territorio, legami internazionali, rapporti politico istituzionali e forza armata. Sono i fatti concreti a confermare chi domina. Una volta accertate le gerarchie, entra in gioco la diplomazia. Le mafie italiane (non solo camorra, cosa nostra e ndrangheta) dialogano continuamente tra loro. Esiste una sorta di collaborazione, uno scambio continuo di conoscenze, di competenze e di esperienze. Ogni organizzazione criminale ha il suo ministro degli interni e degli esteri. Eccelle, inoltre, lo spirito imprenditoriale, piuttosto che la strategia violenta, di chi vuole contare di più e prevalere sugli altri, e questo per la loro crescita, soprattutto economica, è stato basilare. Le organizzazioni mafiose sono state sempre attente a evitare di pestarsi i piedi l’una con l’altra prediligendo gli accordi e la diplomazia.

L’aspetto più preoccupante di questa “pax” è la spartizione di qualsiasi affare a ogni livello. La diplomazia, interna ed estera, produce enormi introiti a cascata creando, di fatto, alleanze difficilmente prevedibili e di conseguenza non facilmente contrastabili. Capi clan siciliani, calabresi, campani e ultimamente pugliesi, trovano intese per eliminare avversari, rilevare aziende, corrompere istituzioni. La diplomazia mafiosa nasce allo scopo di limitare le lotte intestine ed esterne riducendo al minimo i rischi di conflitto e adattandosi sempre alla situazione contingente. Alla “mafia imprenditrice” si affianca la “mafia globalizzata”. Personalmente ritengo che questa nuova sfaccettatura delle organizzazioni mafiose cerchi sinergie diplomatiche e si consolida intorno a obiettivi prettamente politici. Le nuove alleanze spesso si realizzano per imporsi fuori dai territori di propria pertinenza (centro, nord dell’Italia e all’estero). Cosa nostra, mafie pugliesi e la camorra stanno riorganizzando nuovi accordi con la ‘ndrangheta poiché è quest’ultima a detenere la quasi totalità del mercato illecito delle sostanze stupefacenti. E’ la ‘ndrangheta, il punto di riferimento e rifornimento attorno al quale in questo periodo, più che in passato, ruotano tutte le altre organizzazioni criminali. Queste nuove unioni spaventano non poco poiché lo Stato non è in grado a oggi di contrastarle efficacemente. Non occorre dimenticare che si stanno rinsaldando anche alleanze tra mafie autoctone e straniere. La mafia albanese, quella russa e quella cinese sono senza dubbio quelle presenti sul nostro territorio da decenni e negli ultimi anni hanno stretto nuove collaborazioni con le organizzazioni criminali italiane.

Da ultimo – notizia di pochi giorni fa – la presenza stabile della mafia nigeriana che stringe accordi con le mafie italiane soprattutto sul traffico di esseri e organi umani. I legami e i patti di non belligeranza tra queste organizzazioni criminali ormai sono cosa certa, comprovata da numerose indagini giudiziarie. Un esempio di come le mafie si spartiscono anche piccoli territori è il Molise. In questa regione una delle prime infiltrazioni risale agli anni ottanta (cfr. Commissione Parlamentare Antimafia Relazione 22 aprile 1987, Presidente On. Gerardo Chiaromonte) e riguarda la costruzione e i lavori nell’invaso del Liscione in cui sarebbe stata coinvolta la ditta Costanzo, un’impresa di Palermo che secondo Pippo Fava era in forte odore di mafia. Tali sospetti furono poi confermati anche dalle indagini di Rocco Chinnici e Paolo Borsellino. Un’altra importante infiltrazione è quella della camorra dei Casalesi. Dopo le dichiarazioni dell’ex pentito di camorra Carmine Schiavone e i numerosi casi sospetti d’interramento di rifiuti tossici (dai pozzi di Cercemaggiore all’operazione Mosca di Campomarino fino ai rifiuti tossici interrati a Guglionesi) è ormai provato che il clan dei Casalesi ha invaso anche il territorio molisano. Non ultima la presenza della ndrangheta che attraverso l’operazione “Isola Felice”, ha provato l’operatività del gruppo Ferrazzo di Crotone, un’associazione criminale composta sia da calabresi sia da siciliani (famiglia Marchese di Messina) che operava tra Campomarino e Termoli (Cfr. Relazione della Direzione investigativa antimafia al Parlamento 2016).

Per finire, sono ormai cosa certa le infiltrazioni della criminalità mafiosa pugliese che in Molise porta droga, prostituzione e agro mafia. In questa piccolissima realtà, come si può notare, hanno operato (e forse operano ancora) quattro mafie che di comune accordo, senza mai ostacolarsi a vicenda, si sono divisi il territorio e i singoli affari. Se ciò è accaduto in un territorio con poco più di trecentomila abitanti, figuriamoci cosa accade nelle restanti regioni dove gli affari e gli interessi economici sono certamente superiori. Come possiamo reagire a questo nuovo inquietante scenario? La mia risposta è che la partita può essere giocata e i mafiosi possono essere colpiti, nelle loro libertà personali, nei loro patrimoni, ma ancor prima possono essere distrutti dalla comunità che lì può isolare e sconfiggere. Le mafie hanno compreso che alleandosi tra loro possono diventare invincibili, di conseguenza, tocca allo Stato e alla società civile recuperare il terreno perduto e reagire con gran veemenza. Questa sarà la vera scommessa degli anni a venire.

Vincenzo Musacchio

Direttore scientifico della Scuola di Legalità

 “don Peppe Diana” di Roma e del Molise

 

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