La piazza e il teatro. Mondi a confronto

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 2 luglio 2017

Io, ieri, piazza SS Apostoli l’ho vista da vicino, anzi da dentro. Ed era la piazza solita, quella che conosco da decenni, colma dei medesimi volti, e degli occhi animati dalla stessa speranza, lo stesso affetto e i dubbi dipinti nel solito, stesso modo di un tempo. Sembrava passata indenne ai tanti eventi trascorsi, sembrava essersi magicamente preservata. Non c’erano artifici, e si stava lì tutti assieme, ognuno con le proprie aspettative, ognuno con le proprie domande, in attesa di una parola che sciogliesse le incertezze. Si stava lì per ascoltare, per stringersi attorno al palco, e pure per sentirsi comunità come da tempo non avveniva. Il clima era leggero, per quanto appassionato. Non era la piazza degli sfigati, dei rottamati, dei perdenti. Era uno spazio politico dove si ragionava sul da farsi, dove si facevano analisi, dove si indicava un cammino da compiere. Non basta certo, non può bastare. Ma il quadro si vede anche dalla cornice.

Leggo poi da ‘Repubblica’ quale fosse invece il clima di Milano, nella fotografia scattata da Carmelo Lopapa: “Assemblea dei circoli col Teatro Ciak (quello di “X Factor”) da quasi tremila posti, gremito solo per metà per la chiusura del leader, teloni neri a coprire le decine di file vuote in coda. Gentiloni ai funerali di Kohl, la sola Maria Elena Boschi e il ministro (e vice) Maurizio Martina a rappresentare il governo. Andrea Orlando ieri era da Pisapia. Franceschini c’era solo venerdì ed è andato via non di ottimo umore. Mentre l’ex ct di volley Berruto parlava di «sabotatori», sul maxi schermo il regista ha inquadrato proprio il ministro dei Beni culturali. Giovedì si preannuncia l’ennesima direzione Pd ad alta tensione”. Ecco, la differenza tra la piazza e il teatro è netta. Qui una raccolta di popolo, lì la messa in scena del solito copione, trito e ritrito, e per di più il sentore di un che di stantio, di nervoso, una rabbia che sembrava soffocata (a leggere Repubblica) dai teli neri che servivano a coprire i buchi. Talvolta basta un’impressione, e poche parole lette sul giornale per capire che aria tira. E che fare.

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