di Alfredo Morganti – 7 aprile 2017
C’è chi pensa che la vita istituzionale sia una sorta di risiko, e sia sottoposta alle regole spicce, pratiche della politica, e viepiù di una politica ridotta ad agonismo e spesso solo a lotta per il potere, senza più alcuna identità di fondo, senza nemmeno una nervatura culturale a sorreggerla. Una politica non-politica, insomma. Così è stato per l’ “incidente” della commissione affari costituzionali del Senato, dove qualcuno ha pensato di scaricare sul Governo, sul Parlamento, sul Capo dello Stato persino, il peso di una crisi più evocata che reale. Ma utile alla bisogna del leader che vuole la tenzone elettorale sennò se lo dimenticano. È bastato che Mattarella facesse capire che non era aria, che le istituzioni rappresentative godono di una piena autonomia (e vorrei vedere) e che non è questo il momento di giocare, per respingere di nuovo il fiume della supposta crisi di governo nel suo ristretto alveo. Ci riproveranno, vedrete, ma intanto sono stati avvertiti.
Quest’idea che la politica (quella internazionale anche, vedi i fatti di Siria) sia ormai una specie di video gioco (oppure un risiko, un monopoli) è molto pericolosa. I tatticismi, il corto respiro, il deficit culturale, quello strategico sono altrettante cause di un impoverimento del pensiero e del gesto politico, e nello stesso tempo la condizione per una riduzione abnorme dello stato di sicurezza in cui si muovono i popoli e i cittadini in genere. Come sia potuto accadere che posti di enorme responsabilità siano finiti nelle mani di outsider, miliardari senza scrupoli, incapaci, ambiziosi, incolti è tutto da valutare. E sarebbe bello partire da qui per tentare di ribaltare il segno di questi anni. La cosa certa è che, a fronte di un attacco frontale verso la ‘politica’, a fronte di dosi massicce di antipolitica, a fronte di una progressiva presa del potere da parte della tecnica (economia, finanza, tecnologia, comunicazione mediale, rete), ciò che resta della politica come mediazione e conflitto regolato adesso è quasi nulla. La politica è una specie di lacuna.
Oggi i livelli di mediazione sono a zero. Al loro posto c’è il conflitto nudo e crudo, teatrale, immaginifico. Oppure i patti segreti. Aut aut. Perché l’assenza di politica asciuga tutti margini del dialogo, dell’articolazione dei gesti, della ponderazione delle decisioni. La pressoché totale assenza di saggezza politica produce il quotidiano muro contro muro e accredita sul ‘trono’ mezze figure molto più gelose delle proprie prerogative che della propria responsabilità pubblica. Il conflitto è diventato ‘sfida’, la cultura politica è divenuta tatticismo, la responsabilità si è disciolta nelle spacconate di quelli che ci mettono la faccia, il senso dello Stato è diluito in ambizione personale. Quanto potranno durare l’Italia, l’Europa, il Mondo dinanzi a questa diffusa incapacità di visione, a questa mancanza di intelligenza politica? Io credo poco. Prima o poi si dovranno riprendere i pezzi sparsi per riaffidarli a quelli che verranno incaricati della ricostruzione. Una sorta di nuovo dopoguerra. In questo sfacelo, la sinistra è una sorta di vaso di coccio. In crisi da almeno un ventennio, scalata da forze che suscitano perlomeno perplessità se non preoccupazione, inondata da valori che non le appartengono storicamente, deviata verso lidi che l’hanno fatta arenare, oggi è totalmente in balia di questo cupo disorientamento. Essa è la prima responsabile della catastrofe che la riguarda, essa dovrà rimettere in piedi la baracca. E dovrà rimboccarsi le maniche, altro che.


