di Alfredo Morganti – 5 maggio 2015
“Il ruolo del preside-sindaco non è in discussione”. Ha detto proprio così Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, renziano di platino: Preside-Sindaco. Il modello è unico, sempre lo stesso, quello originario del Sindaco d’Italia. Vale per le città, vale per la scuola, vale per il governo, vale per il partito, vale per tutto. Un uomo solo al comando, il vuoto attorno (a parte il codazzo di fedelissimi e di ‘reggicode’) e tutto che rimanda alle sue decisioni e alle sue performance. Anche la ‘buona scuola’ oggi si vede costretta in questo schema, col vecchio Preside trasformato in un CEO (Chief Executive Officer, il nostro Amministratore Delegato) che risponde solo agli azionisti (politici locali, finanziatori privati, burocrati, associazioni) e ‘spreme’ la propria azienda-scuola per renderla competitiva sul mercato e accrescerne il valore delle azioni. E così: il Preside-Sindaco tiene lo scettro e il Preside-CEO ragiona sulla base dei ‘dividendi’ verso chi detiene le quote scolastico-azionarie. Agli studenti e alle famiglie il mero compito di ‘giudicare’ gli insegnanti (facendone i responsabili di ogni manchevolezza del sistema) credendo così di contare qualcosa, mentre invece, nel concetto di autonomia scolastica e d’istituto, conta davvero solo chi mette le risorse (in specie private) per trarne, comunque, dei ricavi o vantaggi in qualche forma.
Questa ‘verticalizzazione’ del potere a ogni livello, questa sua ‘riduzione a uno’ (l’uomo solo che comanda) questa individualizzazione della sovranità e riduzione della rappresentanza, immiserisce la ricchezza democratica e culturale, e induce a credere che TUTTO, ma proprio tutto, dipenda SOLO dalla libertà assoluta con cui qualcuno prende le sue decisioni. Oscurando con ciò la verità: ossia che le soluzioni migliori, le decisioni più belle ed efficaci, quelle che durano di più e che perciò non possono essere facilmente cancellate, non sono quelle che si prendono su due piedi, in fretta, con arroganza, come frutto di un patto segreto, facendo pastette in qualche stanzetta delle fotocopie al Nazareno. No. Le decisioni migliori sono quelle che si danno del tempo per valutare termini, aspetti, effetti, ricadute, dati, cifre, e che non lesinano di immergersi in un dibattito vero, approfondito, radicale, non quello finto, in streaming, in una direzione PD che tende a sostituirsi persino al Parlamento in quanto a vincolo decisionale.
La ‘riduzione a uno’ (al Sindaco, al premier, al preside, al segretario politico, al decisore) è la vera minaccia di ogni democrazia. È il collo d’imbuto dove tutto va a infognarsi, nella speranza che questa libertà di manovra senza contrappesi garantisca un’efficace soluzione alle questioni. Purtroppo, il mito dell’uomo solo al comando in Italia è sempre in voga, con veri e propri cicli ventennali. C’è qualcosa in questo Paese di oscuro, di refrattario al sociale, di ostinatamente contrario alla politica parlamentare che lascia basiti e pure increduli. Ma è così. È così con Renzi, sarà così per il prossimo Capo. Ed è così pure per la scuola, il cui compito sarebbe (ed è stato nel tempo) quello di riunificare e alfabetizzare un Paese disperso socialmente e culturalmente, non solo di promuovere talune eccellenze individuali. La scuola pubblica deve essere una risorsa per l’Italia intera, deve contribuire a riunificarla, irrobustirla, ha il compito di potenziarla a partire proprio dalla cultura e dalla formazione. Un’azienda in mano a un CEO, invece, si concentra sui settori più remunerativi, sulle aree in sviluppo, sulle differenze e le discrepanze, sui più bravi e sulle singole eccellenze, e le porge infine su un piatto d’argento all’azienda di riferimento, quella che mette i soldi per comprare la carta igienica o riparare i vetri e le serrande, e desidera rastrellare dipendenti bravi e preparati. Ai quali offrirà un bel contratto a tutele crescenti, intascherà lo sgravio fiscale e dopo tre anni potrà già licenziare il lavoratore che crea grane oppure demansionarlo nel caso voglia risparmiare sui costi, ottenendo in cambio gli stessi servigi di prima. Ecco, in sintesi, il rapporto scuola-lavoro oggi, al tempo della buona scuola, del job acts e dell’uomo solo al comando.


