L’antipolitica secondo Panebianco

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 3 novembre 2016

Angelo Panebianco, ieri, ha rimproverato Renzi di scegliere pessimi argomenti antipolitici (taglio ai costi della politica, riduzione del numero dei parlamentari) per sostenere il Sì al referendum. Sbagliato, scrive, i meriti veri della riforma costituzionale sarebbero altri, ossia la “fine del bicameralismo paritario”, l’“indebolimento dei (oggi fortissimi) poteri di veto”, una “maggiore stabilità e maggiore capacità decisionale dei governi”. Su questi temi dovrebbe puntare la propaganda governativa, secondo l’editorialista del Corsera. Poi, però, attaccando ancora l’antipolitica, Panebianco ne critica un aspetto essenziale, quello per il quale l’eletto sarebbe considerato un semplice ‘cittadino comune’. E no, aggiunge, tra eletto ed elettore c’è differenza: il primo ha più responsabilità dell’altro, ‘rappresenta’ l’altro, e la rappresentanza è “l’essenza della democrazia”. Dunque se si considera l’eletto un cittadino comune, come sostiene l’antipolitica, è la democrazia che ne soffre, perché vedrebbe intaccato proprio il principio di rappresentanza che di questa è il sale.

Ora però i conti non tornano. Chi è l’antipolitico, mi chiedo, quello che grida contro i costi della politica o quello che vuole potenziare l’esecutivo comprimendo il ruolo rappresentativo del Parlamento? Quello che se la prende con le indennità, oppure chi delegittima di fatto la democrazia parlamentare-rappresentativa? È più antipolitico ridurre i ‘politici’, oppure ridurre il potere delle Camere potenziando quello dell’esecutivo? Bella domanda, ma di sostanza. Perché sfata un’idea circolante, secondo la quale Grillo, che chiede di tagliare gli stipendi, è un pessimo antipolitico, mentre Renzi che lo scimmiotta, o peggio, che vuole giocare la stabilità dei governi nella ‘ritirata’ dei ‘contrappesi’ parlamentari dinanzi al ‘peso’ dei governi, non lo sarebbe. E invece la verità è un’altra: non c’è peggior antipolitico di quello che vede come fumo negli occhi il Parlamento, i partiti, le rappresentanze e sente come un’offesa l’idea che le assemblee svolgano un ruolo di ‘contrappeso’ rilevante. Detto in altri termini, l’antipolitico è chi glorifica l’esecutivo, chi esalta la primazia della decisione, chi asciuga i poteri delle camere e mette le mani sulla nomina dei parlamentari, mostrandoli come fossero il veleno della democrazia contemporanea.

In una cosa ha ragione Panebianco, quando critica l’antipolitica ‘politicista’ di oggi, perché predicherebbe antipolitica ma senza volere lo Stato minimo à la Reagan. Ha ragione nel senso che i governanti che vorrebbero potenziare l’esecutivo distribuiscono senza alcuna vergogna bonus e spesa corrente a pioggia come pochi altri. Ma ha torto quando non si accorge che, ridurre il Parlamento ad ancella, è come ‘minimizzare’ lo Stato democratico, è come amputarlo di una gamba. Lo spiega lui stesso peraltro. È, questa, senz’altro una forma di minimalismo. Un minimalismo di bonus e sgravi, con uso abbondante di soldi pubblici per costruire consenso. Un minimalismo speciale à la Renzi. Ma sempre antipolitica è. Sia che la prendi sul lato della propaganda contro i costi, sia che la guardi sul lato della riduzione del potere di rappresentanza (leggi Parlamento) la sostanza non cambia. Ed è una pessima sostanza, mi pare.

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