Lavoro: Diritti, Dignità, Legalità

per Gabriella
Autore originale del testo: Massimo D'Alema

Lavoro: Diritti, Dignità, Legalità.

 Parla Massimo D’Alema

Monfalcone (Gorizia) – 11 Dicembre 2017  trascrizione a cura di Giovanna Ponti

 

Gli interventi che mi hanno preceduto hanno reso evidente come sia necessario imprimere una svolta politica e culturale in grado non soltanto di assicurare i diritti: io cercherò di dimostrare che non c’è contrasto tra tutelare i diritti fondamentali e una nuova prospettiva di sviluppo più solida, più forte, più innovativa, in grado di dare una prospettiva al Paese. Noi abbiamo considerato il lavoro come uno dei valori fondanti di questa nuova formazione che andiamo costruendo.

Ci dicono che abbiamo creato un nuovo partito, ma noi in realtà ne abbiamo sciolti tre e da questo punto di vista abbiamo contribuito alla semplificazione del quadro politico e siamo fiduciosi nel credere di potere ulteriormente semplificarlo. Attendiamo con fiducia i compagni di Campo Progressista che dopo il fallimento del tentativo di Pisapia di fare un’alleanza con il Partito Democratico credo che sotto la guida di Laura Boldrini confluirà nel nostro movimento.

Il nostro è uno sforzo di unificazione, semplificazione e rilancio di una formazione politica che, muovendo dai valori fondamentali della sinistra, sia in grado di rivolgersi a tutto il Paese, a tutti quegli italiani che vogliono ricostruire il Paese sulla base  di valori fondamentali che sono dei valori costituzionali. Nella Costituzione c’è il fondamento della nostra vita comune e non è un caso che la Costituzione Repubblicana nata al termine del fascismo con la convergenza delle grandi culture democratiche della sinistra e del mondo cattolico dica che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e non sull’impresa. E’ un’affermazione fortissima che non ha eguali in nessuna Costituzione di nessun altro Paese. Non solo riconosce il valore del lavoro, ma ne fa un aspetto fondante della cittadinanza, la forma attraverso la quale le persone diventano cittadini, partecipi di uno Stato che non è soltanto un insieme di istituzioni, ma è il grande progetto comune degli italiani.

Questo lavoro fondativo del lavoro, inteso in senso più ampio, è un diritto al lavoro, e noi siamo un Paese che vive ancora con molte disuguaglianze. Nel Mezzogiorno le condizioni sono ancora drammatiche ed esiste un grande problema di esclusione dal lavoro che riguarda principalmente i giovani e le donne, ma veda lavoro come difesa della dignità dei cittadini.

La globalizzazione si è sviluppata senza regole. I processi che sono derivati dalla globalizzazione non hanno inciso nello stesso modo nei diversi Paesi.

Non ne parlerò, ma è evidente che una tutela dei diritti del lavoro ha bisogno di una regolamentazione internazionale, per esempio che accordi di libero commercio non si possono fare se non ci sono clausole di tutela del lavoro e dell’ambiente.

La regolamentazione è indispensabile, ma ricordiamo che la globalizzazione ha avuto anche effetti molto positivi: interi Continenti e popoli che vivevano ai margini della società sono entrati sulla scena internazionale. Se guardiamo la globalizzazione dal punto di vista dei cinesi diamo un giudizio della globalizzazione molto diverso da quello che si dà guardandola dal punto di vista dei Paesi che hanno subito la concorrenza dei prodotti cinesi. Anche se “la talpa scava” e la Cina che è partita con un balzo avanti del processo di industrializzazione fondato sui bassi salari, dopo 10 anni si è trovata sotto un’ondata di lotte operaie che l’ha costretta ad alzare i salari, a ridurre i ritmi di lavoro e a cominciare a fornire i primi elementi di welfare. Tanto è vero che la Cina oggi vive un processo di delocalizzazione perché sta elevando il contenuto tecnologico del suo modello produttivo e la produzione a basso livello manuale si delocalizza verso altri Paesi asiatici, Questo succede perché il capitalismo produce sempre la lotta di classe.

Oggi questo complesso quadro internazionale impone alla politica di rispondere alle trasformazioni in atto.

La globalizzazione ha alimentato l’antipolitica: l’idea di lasciare fare ai mercati, l’idea che la nuova leadership stava nella finanza, che la politica era un peso, un costo inutile. Questo sentimento qualunquista ha pervaso grandi settori della popolazione, compreso i lavoratori che dovrebbero essere consapevoli che se la politica è più debole e se dominano il capitale e la finanza loro, i lavoratori, sono i primi a essere fregati. Naturalmente l’inutilità della politica porta con sé l’inutilità del sindacato. Noi abbiamo avuto il segretario della ex-sinistra che ha detto che Marchionne ha fatto più per i lavoratori di quello che hanno fatto tutti i sindacati messi insieme. Poche osservazioni come questa danno il senso di quel rovesciamento culturale che passa dalla centralità del lavoro alla centralità dell’impresa.

Oggi sentiamo parlare di diminuire le tasse da parte di tutti i partiti, ma in un Paese come il nostro, con l’evasione e il debito pubblico che abbiamo è irresponsabile.

Noi tentammo di incidere con il cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro, oggi Berlusconi propone una flat tax che è un grande regalo per i ricchi, a parte lo scarso realismo in un Paese con il 136% di debito pubblico rispetto al Pil. Lavoriamo nel campo della fantasia in una campagna elettorale a chi spara la cazzata più grossa.

Nonostante le differenze non c’è dubbio però che tutte le forze politiche negli ultimi anni abbiano lasciato libertà di manovra al mercato. Lo choc provocato dalla crisi del 2006-2008 ha imposto che si pensasse a una correzione del sistema. Molti economisti hanno cominciato a cambiare parere rispetto al liberismo. La politica invece è stata più refrattaria a cogliere questa critica dello sviluppo economico: Così mentre alcuni economisti ripensavano al ruolo dell’intervento pubblico, penso i libri di Mariana Mazzucato ad esempio, la politica non ha cambiato il proprio verso, seppure con eccezioni come la Svezia e il Portogallo. Il governo portoghese ha aumentato la tassazione sui grandi patrimoni e sulla parte più ricca della popolazione e con queste risorse ha aumentato sensibilmente le pensioni minime, ha imposto un minimo salariale e ha fatto aumentare i consumi interni. Così, sostenuta dalla domanda interna, l’economia portoghese ha avuto una forte ripresa.

D’altra parte nonostante la retorica della ripresa grazie ai governi di Renzi, tutti i Paesi che non hanno fatto le riforme dei governi di Renzi crescono più di noi. Se la media della crescita europea è al 2,5 e noi siamo all’1,7 forse qualcosa significa.

Potremmo fare questa formula algebrica: 2,5+riforme di Renzi=1,7.

Una classe politica seria dovrebbe dire: “tutto il mondo cresce e anche noi, ma perché noi cresciamo di meno?”

Noi cresciamo di meno perché in questi anni di ripresa economica mondiale abbiamo avuto una caduta degli investimenti pubblici e una modesta crescita di quelli privati. Una gran parte dei soldi dati alle imprese non sono stati reinvestiti perché non c’era neanche il vincolo che i sussidi fossero reinvestiti. Noi abbiamo trasferito 23/24 miliardi dalle casse dello Stato alle imprese che sono finiti nei dividendi, comprese quelle che hanno le sedi all’estero e non pagano le tasse in Italia: un capolavoro!

Con il denaro pubblico lo Stato si è fatto carico di un certo numero di banche. Intanto secondo me non era obbligatorio salvarle proprio tutte perché alcune banche sono strategiche e va bene, ma non è che tutte le banche siano strategiche,

Secondo alcuni studi la sofferenza bancaria è dovuta al fatto che alle banche non vengono restituiti i prestiti che la banca ha fatto all’8 % della clientela. I debitori insolventi sono spesso gli stessi imprenditori a cui abbiamo dato gli incentivi. Se un artigiano chiede un prestito a una banca gli chiedono come garanzia la casa che gli viene presa se non paga, ma se è un grande imprenditore che prende in prestito dei soldi e non li restituisce, li mette lo Stato. Fantastico perché bisogna salvare il sistema bancario e non si riesce ancora a sapere dall’ineffabile presidente Casini, il quale presiede la commissione ma siccome sta negoziando un collegio sicuro con Renzi la presiede con molte prudenze, diciamo, non si riesce neanche a sapere i nomi di questi signori a causa dei quali si è dovuto pagare una enorme quantità di denaro pubblico alle banche che avevano loro prestato i soldi.

Un economista al di sopra di ogni sospetto Pierluigi Ciocca, che ha diretto l’Ufficio studi della Banca d’Italia e che non è quindi proprio un esponente dei centri sociali, ha pubblicato uno studio su quelli che sarebbero stati gli effetti dell’economia italiana se, anziché distribuire tutti questi soldi alle banche e alle imprese questi soldi fossero stati usati in un grande programma di investimenti pubblici per migliorare le infrastrutture del Paese, per la manutenzione del territorio, per la ricerca.

Infrastrutture: i cinesi hanno tentato di aprire il proprio commercio all’Europa utilizzando i porti italiani, ma sono stati bloccati, oltre da una abnorme burocrazia, anche dall’assenza di infrastrutture nostre, così come i porti italiani soprattutto del meridione non hanno una rete ferroviaria adatta a sorreggere un ampliamento del loro utilizzo.

La riforma delle Province, pasticciata, ha portato al fatto che non si sa più chi deve fare la manutenzione di strade e delle scuole. Questa riforma è stata festeggiata come fosse stato dato un colpo alla politica, salvo che si sono creati dei grandissimi danni ai cittadini e di questo pochi si sono preoccupati.

 Non siamo dotati di banda larga con tutti i vantaggi che ne trarremmo.

 Non abbiamo investito sulla ricerca quando siamo i più grandi esportatori di ricercatori, di cervelli che ci siano al mondo.

Tutti questi problemi necessitano che venga cambiato l’ordine di priorità.

Adesso il governo ha lanciato questo nuovo programma L’industria 4.0, ma non si capisce cosa sia se non gli si butta dentro sopra una montagna di soldi.

Noi siamo alla vigilia di una nuova grande rivoluzione tecnologica , anche questa rivoluzione dovrà essere guidata dal potere pubblico perché se la finanziarizzazione del mondo ha portato alle disuguaglianze che conosciamoci, figuriamoci se i vantaggi dell’ evoluzione dell’intelligenza artificiale finissero nelle mani di pochi quali disuguaglianze  si produrranno perché è chiaro che questa rivoluzione porterà a una drastica diminuzione di  quello che Marx chiamava “il tempo di lavoro necessario” e quindi ci sarà il rischio di una massa di emarginati accanto ad una élite superqualificata.

Sarà necessaria una potente rivoluzione che dica “cari signori, adesso si riduce drasticamente l’orario di lavoro a parità di salario e naturalmente si fa un accordo con i sindacati, che sono necessari, perché una parte del tempo non più utilizzato per il lavoro lo si mette a disposizione della collettività: per opere socialmente utili.

Bisogna ripensare all’organizzazione sociale per non intensificare nuovi fenomeni di emarginazione, povertà.

Noi abbiamo la ripresa economica e l’aumento della povertà, ma non è un paradosso è che noi abbiamo il lavoro povero.

Ciò sta già avvenendo: se si fa cento la quota del lavoro nel 2008 oggi è 94, mentre i profitti nello stesso periodo passano da 100 a 137.

Il livello di disuguaglianze è cresciuto in modo sensibilissimo e in un Paese dove il 20% della popolazione detiene il 70 % della ricchezza  tu puoi dire “meno tasse per tutti” (parola d’ordine comune a Berlusconi, Renzi e Di Maio), ma è una sciocchezza.

Era necessario che qualcuno dicesse una cosa diversa, che dica che, a cominciare dalla lotta all’evasione fiscale c’è una parte del Paese che dovrà pagare un po’ più di tasse per consentire una diminuzione della tassazione sul lavoro e nello stesso tempo difendere alcuni servizi fondamentali che corrispondono a diritti fondamentali dei cittadini, diritti che oggi sono gravemente minacciati, a cominciare dal diritto alla salute. Noi spendiamo per il sistema sanitario il 6% del Pil, mentre Francia e Germania spendono l’8%.

11 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure perché non sono in grado di accedere al servizio sanitario nazionale pubblico.

Occorre tornare ad investire e non tagliare le tasse sulle prime case dei più ricchi.

Ormai i partiti politici italiani non hanno più grosse differenze fra loro perché si somigliano sul piano culturale.

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1 commento

Giuseppe Fioravante 17 Dicembre 2017 - 12:11

Tutto bene ma bisogna far intervenire lo Stato come imprenditore. Bisogn a reindustrializzare perchè come si dice nell’articolo ci si è ridotti oggi ad un lavoro “povero”. Si deve creare una nuova IRI e si devono tutelare gli interessi nazionali nel senso che una classe politica nazionale illuminata deve capire che l emerci non possono essere totalmente libere a senso unico: ci vuole reciprocità nei diritti sul lavoro di chi le produce. E’ un tema ( quello della reindustrializzazione ) che necessita di essere sviluppato da LeU con più forza e coraggio.

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