Leggere il Corano nel deserto

per Gabriella
Autore originale del testo: Giacomo Russo Spena
Fonte: micromega
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LEGGERE IL CORANO NEL DESERTO – di MARCO ALLONI e KHALED FOUAD ALLAM – ed. Wingsbert House

Intervista al giornalista Marco Alloni, nelle librerie con “Leggere il Corano nel deserto”, un testo che smonta la tesi dello scontro di civiltà e pone un argine ai fondamentalismi non solo islamici: “Se non siamo moderati noi, con le nostre sciagurate politiche di occupazione, come possiamo pretendere che lo siano le nostre vittime? Moderatismo, terrorismo: sarebbe tempo di ridefinire questi termini anche partendo da noi”.

intervista a Marco Alloni di Giacomo Russo Spena

Altro che scontro di civiltà, Isis è creatura dell’Occidente

“Solo i ciechi non si sono ancora accorti che Isis è una creatura dell’Occidente”. Giornalista, corrispondente dall’Egitto e co-autore del libro Leggere il Corano nel deserto, Marco Alloni è un esperto del mondo islamico, il suo testo un tema di dibattito. Mentre i governi europei si preparano a varare norme anti-terrorismo, invita a ragionare sulle responsabilità dell’Occidente: “Siamo alle prese con un’isteria collettiva senza precedenti – dice – la nuova ondata di xenofobia e islamofobia è il prodotto diretto del panico generalizzato, ma è anche figlia di una narrativa del vittimismo che non sta né in cielo né in terra”.

Leggere il Corano nel deserto (edizione Wingsbert House, 10 euro) scritto a quattro mani con Khaled Fouad Allam, è di grande attualità. Come replica a chi, in questa fase, cita i discorsi di Oriana Fallaci e parla di “scontro di civiltà”?

Il pensiero della Fallaci è talmente grossolano che non merita repliche. Ma il problema non è la Fallaci – che di cultura islamica non sapeva nulla – bensì l’uso che i media e la stessa editoria fanno del pensiero banalizzato: lo immettono sul mercato senza alcun filtro e i consumatori lo assimilano con la stessa passività con cui si lasciano incantare dalla pubblicità. Leggere il Corano nel deserto è viceversa un libro rispettoso della complessità al punto da scardinare qualsiasi fatuità sia stata scritta sul cosiddetto clash of civilisations. E se si abbandona la complessità, parlare di Islam non ha alcun senso. L’Islam è complesso, ogni riduzionismo è fallace.

Crede che l’Occidente abbia delle responsabilità nella nascita e nello sviluppo dell’Isis? E come rispondere all’offensiva Daesh dopo l’11 settembre francese?

Solo i ciechi non si sono ancora accorti che Isis – e prima di lui Al-Qaeda – è una creatura dell’Occidente. Chiunque abbia un minimo di contezza sulla storia mediorientale recente sa perfettamente che il jihadismo globale – da non confondere con quello che nasce, all’interno dei singoli Stati arabi, dall’alveo della Fratellanza musulmana – è stato voluto in funzione anti-sovietica prima e anti-sciita poi. E che laddove non è stato l’intervento atlantico diretto a foraggiarlo, se ne sono incaricati i cosiddetti Stati arabi moderati nostri alleati: Arabia Saudita in testa. È dunque in vista di un contenimento dell’Iran che va letta l’intera vicenda di Isis; ogni discorso di tipo religioso è pura cosmesi mediatica. Quanto a come rispondere agli attacchi di Parigi, direi che la guerra è l’ultima delle soluzioni. Non solo perché si è dimostrata fallimentare e autolesionistica negli ultimi vent’anni, ma perché ignora che il risentimento anti-occidentale scaturisce precisamente da quella secolare forma di guerra chiamata colonialismo e imperialismo. Unica opzione praticabile è quella che Fouad Allam chiama la “politica del riconoscimento”. La cui prima azione consiste nel conferire agli Stati arabi la stessa dignità conferita a noi e ai nostri alleati di comodo, Israele in primis.

Qual è il suo giudizio sui bombardamenti francesi in Siria? Non rischiamo di cadere in una spirale di odio e violenza dove i fondamentalismi si alimentano a vicenda?

Ovviamente sì. D’altra parte finché non si accoglie il principio della sovranità degli Stati in tutta la sua ampiezza ogni discorso sui destini della Siria – ma anche su qualsiasi altro paese del pianeta – è privo di fondamento. Lo shah Pahlavi – uno dei più spietati dittatori del Novecento, al confronto del quale Al Asad è un dilettante – non è mai stato deposto dalle potenze atlantiche perché faceva comodo ai nostri interessi economico-strategici. Lo stesso dicasi di Saddam Hussein finché si presentava come il più utile nemico di Khomeini. Sempre di ingerenza negli affari interni degli altri Stati dunque si tratta. E l’unica via per un ripristino degli equilibri mondiali è un ripristino incondizionato della sovranità degli Stati. Se Al Asad non piace ai siriani, lo abbattano come hanno fatto gli egiziani con Mubarak. Noi restiamocene a casa nostra.

E il clima da emergenza permanente e il panico diffuso non contribuiscono ad esasperare xenofobia e islamofobia, senza combattere le vere cause del terrorismo jihadista?

Siamo alle prese con un’isteria collettiva senza precedenti. Non solo – come giustamente allude lei nella sua domanda – xenofobia e islamofobia sono infatti il prodotto diretto del panico generalizzato, ma ci propongono una narrativa del vittimismo che non sta né in cielo né in terra. Nel corso degli ultimi decenni i civili ammazzati dagli interventi occidentali in terra araba si contano, compresi donne e bambini, a centinaia di migliaia. Ripeto: centinaia di migliaia! Riusciamo a immaginare il potenziale di risentimento che un simile eccidio ha prodotto? O almeno a capire che gli arabi sono troppo occupati a piangere i loro morti per occuparsi dei nostri? In ogni caso sembra che l’Europa sia caduta nella stessa voluttà autocommiseratoria di cui parlava Kavafis quando scriveva: “Erano una soluzione, quella gente”. Forse l’Europa – che di unitario non ha nulla – ha bisogno di rifondare un’unità fittizia attraverso la demonizzazione del diverso. E razzismo e xenofobia servono precisamente a questa manque identitaria.

Dopo la strage a Parigi, c’è stato un altro attentato islamico in un albergo del Mali che ha prodotto 27 morti. I sopravvissuti raccontano che venivano liberati gli ostaggi capaci di recitare il Corano. Non pensa che il vero scontro sia tra il Sacro e la cultura illuminista e laicista? E’ un caso che l’Isis a Parigi abbia colpito Charlie Hebdo, fumettari atei, e il locale Bataclan durante un concerto metal?

Considero legittimo riflettere, come spesso fa MicroMega, sulla possibile incompatibilità fra cultura illuministica e cultura religiosa o del sacro, come la chiama lei. Ma temo che un certo laicismo riconduca troppo disinvoltamente all’Islam – o al religioso in genere – le difficoltà dei paesi arabi a prevenire a una compiuta democrazia. E che nel farlo dimentichi che le peggiori dittature arabe sono state dittature a ispirazione laica: baathismo e socialismo nasseriano in primis. D’altra parte è difficile prospettare un avvento della democrazia su scala planetaria laddove le cosiddette democrazie occidentali sono tali all’interno e sistematicamente antidemocratiche nelle loro politiche estere. La Primavera Araba ci ha dimostrato che i popoli arabi sono assetati di democrazia e sono ben disposti – senza rinunciare alla fede – a instaurare sistemi di governo di carattere laico. Ma qualcuno in Occidente ha aiutato tali popoli a portare a compimento questo disegno? Non mi pare. E la risposta è stata l’esacerbarsi della contrapposizione fra civiltà: genialmente sfruttata da Isis anche sul piano simbolico.

Quale rapporto tra sacche di povertà e l’Isis? Alcuni terroristi coinvolti nell’attacco a Parigi erano francesi: soprattutto nelle banlieu l’integralismo islamico è visto come forma di riscatto sociale contro emarginazione e povertà. Sono sufficienti politiche di integrazione per risolvere il problema dell’integralismo tra i migranti di terza generazione?

È un passo fondamentale ma non risolutivo. Il problema, come dicevo prima, è planetario. È l’ingiustizia promossa dal modello neoliberale e capitalistico di stampo coloniale prima e imperialista ora, è questa intollerabile forma di ingiustizia politica ed economica che va abbattuta. Finché non si riconosce che l’unica guerra in corso è quella fra ricchi e poveri – o meglio, di ricchi conto poveri – ogni discorso sull’emarginazione degli immigrati – che preferirebbero stare a casa loro, se solo li mettessimo nelle condizioni di starci – rischia di essere ridicolo come quelli sulla messa in sicurezza dell’intero Occidente.

Quando ci si riferisce all’Islam moderato, cosa si intende e come si pone di fronte a questi eventi? Come valorizzarlo?

L’Islam moderato è l’Islam degli uomini moderati. L’ho scritto più volte e lo ribadisco: non sono le religioni a rendere migliori o peggiori gli uomini, ma gli uomini a rendere migliori o peggiori le religioni. Se non siamo moderati noi, con le nostre sciagurate politiche di occupazione, come possiamo pretendere che lo siano le nostre vittime? Moderatismo, terrorismo: sarebbe tempo di ridefinire questi termini anche partendo da noi.

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