di Fausto Anderlini – 28 gennaio 2018
Al lavoro e alla lotta
Era ovvio finisse così. Era scritto da anni. Mai ci fu un capo il cui disegno era più evidente. Addirittura plateale dopo la batosta referendaria. Riprendere in mano il partito mentre era stordito, evacuare al margine la dissidenza residua per poi buttarla a mare del tutto davanti a una ciurma di coglioni. Rendendo irreversibile la mutazione del Pd in un partito personale di centro. Che prende i voti nella parte passivizzata della società e che mentre si avvale di una militanza di ottusi fanatici stabilisce un controllo ferreo e personalizzato del gruppo parlamentare. Condizione indispensabile di ogni aberrazione politica. Ha ragione Cuperlo a esortare stoicamente al ‘lavoro e alla lotta’ mentre gli legano la pietra al collo (mai un Sassuolo fu più profetico….). Al lavoro e alla lotta contro questo Pd social-renziano. Una aberrazione nella storia della sinistra e della stessa Italia democratica e repubblicana. Liberi, Uguali, Inflessibili.
-.-.-.-.-.
di Fabio Martini per “La Stampa”
NOTTE TRA URLA E PIANTI NASCE IL PDR DI RENZI
Tra urla e pianti, nella lunga e patetica notte consumata al Nazareno, sede del Pd, è diventato più chiaro quel che accadde 11 mesi fa, quando l’ala sinistra di Bersani e D’Alema lasciò il partito. Allora Matteo Renzi non fece nulla per impedire la scissione, perché già aveva in mente quel che ha messo in pratica nelle ultime 48 ore: la «normalizzazione» dei futuri gruppi parlamentari del Pd.
I numeri hanno una loro eloquenza. Alle Primarie di maggio che lo avevano incoronato segretario, Matteo Renzi aveva ottenuto il 69,2% dei consensi popolari, ma ieri notte quando la direzione del Pd si è riunita per l’okay alle liste, quasi il 90 per cento dei posti «sicuri» appartenevano all’ area del leader.
RENZI ORLANDO EMILIANO
Le minoranze congressuali (Orlando ed Emiliano) sono state strette all’angolo: avranno un manipolo di parlamentari, così come li avranno gli alleati più riottosi del segretario (Franceschini), ma si tratta di rappresentanze frammentate, piccole percentuali, gruppi destinati all’ irrilevanza, quando arriverà l’ora delle grandi scelte. Una «libanizzazione» del dissenso interno che tornerà utile fra 40 giorni.
Dopo le elezioni del 4 marzo incombono decisioni decisive nella vita del Pd e in quella personale di Renzi. Se il partito dovesse restare sotto il minimo storico, il 25,4% raggiunto nel 2013 da Bersani, potrebbe aprirsi un processo al leader e per Renzi disporre di una pattuglia parlamentare ad alta fedeltà rappresenta un’assicurazione sulla vita. E gruppi renziani serviranno anche davanti a scenari meno drammatici ma potenzialmente divisivi: quale governo? Quale maggioranza? Quale presidente del Consiglio?
RENZI DALEMA FRANCESCHINI ORLANDO
Naturalmente quando si fanno le liste per le elezioni più che ai massimi sistemi, i notabili di partito guardano ad interessi più prosaici. E nella giornata di ieri gli sherpa di Renzi hanno tirato la corda in modo così teso che ad un certo punto, senza che la notizia trapelasse, Andrea Orlando è stato costretto ad accarezzare un’idea clamorosa: lasciare il partito e trovare accoglienza elettorale nella lista «+Europa» di Emma Bonino. Uno degli amici del Guardasigilli ha fatto un sondaggio preliminare e non impegnativo ma poi l’ipotesi – che poteva diventare dirompente – è stata lasciata cadere.
Almeno per ora. È stata davvero una giornata di passione quella che si è consumata al piano nobile del Nazareno. L’orario di inizio dei lavori della Direzione è slittato per ben tre volte, dalle iniziali 10,30 si è via via andati sino alle 22,30: uno scivolamento di dodici ore, quasi un record. E a forza di rinvii l’«assedio» a Matteo Renzi si è fatto assillante: lo guatavano amici, nemici, alleati, semi-alleati.
Qualcuno urlando («ci ha imbrogliato»), qualcuno piangendo. Un giovane democratico confida di aver visto Debora Serracchiani con gli occhi lucidi, ma chissà se era lei, chissà cosa è vero, o verosimile nel racconto di una delle giornate umanamente più intense nella storia del Pd.
Lui, Matteo Renzi, ad un certo punto ha staccato il cellulare, per ore non ha risposto più agli sms, ha scritto e cancellato nomi di candidati assieme al suo amico Luca Lotti. Un assedio anche umano, come racconta lo stesso Renzi: «E’ una disperazione far fuori 150 uscenti… C’ è quello che ti dice, ho il mutuo da pagare, laltro che ti fa sapere che gli manca una legislatura per la pensione, un altro che accampa un buon motivo….».
Certo, nella grande «mattanza» che ha accompagnato la febbrile fattura delle liste del Pd c’ è stato anche un coté patetico. Ma il grande sospetto dei non-renziani è che, con la scusa del dimagrimento che doveva investire tutte le «aree» interne del Pd, il leader ne stesse approfittando per aumentare il proprio peso specifico, per dare un’ accelerata a quel progetto di trasformazione del Pd in «PdR», quel «Partito di Renzi» che è la sintesi un po’ grossolana ma preferita dai detrattori del leader.
I conti si potranno fare soltanto quando le liste saranno definitivamente vistate e approvate, ma ieri sera quando si è aperta la Direzione del Pd chiamata al formale via libera, i pesi interni erano ridistribuiti, con una presenza massiccia dell’area Renzi. Alle Primarie quell’area aveva conquistato il 69,2% dei consensi, contro il 20% di Andrea Orlando e il 10% di Emiliano: dei 200 posti “sicuri” (tra listini e collegi), quasi il 90% andranno a candidati vicini al segretario. In questo «correntone» di maggioranza, il 70-72% dei parlamentari sarebbero renziani doc, l’ 8-10% amici di Martina e Orfini, il 5-7% amici di Franceschini. Alle minoranze restererebbe il restante 10% .
-.-.-.-.
Ecco “La Repubblica”
Pd, spaccatura nella notte: direzione approva le liste, ma minoranza non vota
————–
L’ELENCO DELLE CANDIDATURE
A snocciolare la litania dei candidati e dei collegi davanti alla direzione è stato in il coordinatore della segreteria Lorenzo Guerini: Maria Elena Boschi corre nel collegio uninominale di Bolzano alla Camera, Beatrice Lorenzin sarà candidata alla Camera nel collegio di Modena, Valeria Fedeli al Senato nel collegio di Pisa. Il segretario Matteo Renzi sarà candidato, come annunciato, nel collegio uninominale di Firenze al Senato e in due listini plurinominali, in Campania e Umbria. Pier Ferdinando Casini correrà nel collegio uninominale di Bologna per il Senato. In Emilia anche Lucia Annibali all’uninominale Camera a Parma (dove è cittadina onoraria), Dario Franceschini alla Camera a Ferrara, a Reggio Emilia Graziano Delrio (Camera) e a Ferrara Senato Sandra Zampa, mentre Emma Bonino è a Roma per il Senato. Paolo Gentiloni sarà candidato al collegio Roma 1 per la Camera e in due listini proporzionali nelle Marche e in Sicilia. Saranno candidati Cesare Damiano e Barbara Pollastrini, che in un primo momento erano stati esclusi. A Roma 2 correrà Marianna Madia, mentre Matteo Orfini sarà a Torre Angela. Confermata la candidatura di Pier Carlo Padoan a Siena e quella di Marco Minniti a Pesaro. Correrà a Nardò invece Teresa Bellanova. Benedetto Della Vedova sarà candidato al collegio di Prato alla Camera. Beppe Fioroniè in lista a Viterbo al Senato.
Spazio per Riccardo Nencini nel difficile collegio di Arezzo, Gianni Cuperlo a Sassuolo, Gianni Pittella a Potenza. È in lista anche l’ex presidente della Basilicata Vito De Filippo. Torna il costituzionalista Stefano Ceccanti mentre tra le new entry c’è il portavoce di Gentiloni (e già di Renzi), Filippo Sensi. In Campania sarà candidato Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, ma anche Franco Alfieri, ex sindaco di Agropoli che era finito nella bufera per aver suggerito di offrire “fritture” per la campagna elettorale per il referendum.
Tra gli esclusi, Giusi Nicolini, ex sindaco di Lampedusa ed emblema dell’accoglienza ai migranti, e Sergio Lo Giudice, già presidente nazionale dell’Arcigay. Resta fuori anche il coordinatore di Dem Andrea Martella.
RENZI: “L’ESPERIENZA PIU’ DEVASTANTE”
Quando Matteo Renzi è salito sul palco per avviare, dopo 4 ore di rinvii, i lavori della direzione, era ormai notte fonda: “Il passaggio della composizione delle liste è sempre difficile – ha detto – La legge elettorale ha degli effetti positivi, ma la decisione delle liste è un meccanismo veramente complicato. Dopo 48 ore di lavoro o più dico che altri sistemi elettorali permettevano scelte più semplici. Tuttavia è un lavoro che abbiamo fatto con grande responsabilità”. Ma ammette: “Questa è una delle esperienze peggiori, una delle esperienze più devastanti dal punto di vista personale. Abbiamo ricevuto dei no, alcuni mi hanno fatto male: persone – ha aggiunto – con cui abbiamo fatto anche un pezzo di strada insieme”.
LE TRATTATIVE NOTTURNE
La lunga notte del Nazareno si è consumata con l’inchiostro che riempie le caselle delle liste elettorali. A oltranza, nome su nome, un collegio dopo l’altro. La mezzanotte era passata da circa un quarto d’ora quando Matteo Renzi si è affacciato per dire che la riunione della direzione convocata per le 22 e 30 subito congelata, doveva slittare ancora. E ha ammesso che il braccio di ferro lascerà qualche traccia: “La liste non troveranno la completa condivisione – ha detto -, ma è giusto che una assemblea democratica possa dare la propria valutazione”. Chiede ancora tempo: “Stiamo lavorando con i segretari regionali. Chiediamo scusa per il disguido, ci aggiorniamo tra mezz’ora massimo un’ora”.
Nemmeno per idea: due ore dopo, ancora si lavorava di inchiostro. Ma intanto la tensione saliva. La minoranza ha precisato: “Nessun rallentamento è imputabile a noi e vorremmo solo favorire uno svolgimento ordinato e unitario per un lavoro dal quale dipende in buona misura il successo del Pd e della coalizione”. La dichiarazione viene sottoscritta in forma congiunta da Andrea Orlando, Gianni Cuperlo e Michele Emiliano. “Dopo ore di attesa e una successione di rinvii sull’inizio della direzione, non abbiamo ricevuto alcun elenco e, da diverse ore, informazioni in merito alla proposta che verrà sottoposta al vaglio della direzione. Con tutta la buona volontà che crediamo sia necessaria in un passaggio così importante e delicato è necessario consentire a tutto il partito e alle sue diverse componenti una valutazione serena di una proposta che la lunga gestazione conferma nella sua complessità”.
LO STRAPPO DELLA MINORANZA
Alle due e un quarto la minoranza si è riunita. E’ trapelata voce che si volesse disertare per protesta la direzione. Ma alla fine, appena prima che Matteo Renzi iniziasse a parlare dal palco, si è deciso di entrare. Ma alla fine lo strappo è stato soltanto rimandato e si è consumato un’ora e mezza dopo, al termine di 48 ore di un tour de force per i nomi e i collegi che ha scandito tutta la giornata di ieri, dopo che tra giovedì e venerdì si era vissuta un’altra nottata di trattative, poi interrotte attorno alle 4. La tensione ha fatto slittare a lunedì persino la presentazione della candidatura di Maria Elena Boschi a Bolzano, dove la sottosegretaria era attesa nel pomeriggio di ieri.
-.-.-.-.
e Gianni Cuperlo su facebook
Vivrò la campagna elettorale con tutto l’impegno e la passione che ho. Chiederò un voto per il Pd e la sua coalizione perché davanti abbiamo una destra pericolosa e arginarla è un dovere morale. Lo chiederò anche per ricostruire un centrosinistra oggi diviso e non accetterò mai una campagna fratricida nel nostro campo.
Detto questo (e ci torneremo sopra solo dopo il voto) chiedo scusa se per un istante vi parlo di me.
Partecipando alla Direzione del Pd, alle tre del mattino e con un sms di avviso di qualche minuto, mi sono trovato candidato nel collegio di Sassuolo, a Modena. Ho scoperto di non essere l’unica figura precipitata in quelle terre di antica tradizione e insediamento della sinistra. Soprattutto ho capito che nessuno lo aveva anticipato ai militanti di lassù.
Penso di sapere cosa sia il radicarsi in uno spazio. È cultura, tradizione, impresa, lavoro. Sono sapori, dialetti, sentimenti. Verso tutto questo il mio rispetto è profondo. Arrivare lì senza che quella comunità di compagni e amici abbia potuto esprimersi su chi può rappresentarli al meglio non aiuta.
Avevo dato la mia disponibilità (e ci mancherebbe) a dare una mano anche in un collegio qualunque della mia città (cioè non è proprio la mia, ma ci vivo da trent’anni e – debbo riconoscerlo – è tra le più belle al mondo). Se serve sono ancora qui. Se serve darla quella mano basta un segno, un fischio. Altrimenti, come da parecchio tempo, andrò su è giù per l’Italia a chiedere il voto per il partito dove milito e per una sinistra da ripensare e rifondare.
A Sassuolo – lo spero davvero – ci sarà una candidata o un candidato che di quei luoghi si sentirà parte. Molto più di me. Come è giusto che sia.
Tutto qui.
Per il resto, al lavoro e alla lotta!





1 commento
Embé?