LINGUAGGIO E LIBERTÀ

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: Filoteo Nicolini

Linguaggio e libertà.

Tra le tante crisi che attraversiamo c’è quella del linguaggio diventato astratto. E questo perché a partire dal XV secolo il sentimento vivo per l’immagine espressa dal sostantivo è andato così perduto che, quando si usano i sostantivi, oggi suonano rigidi, cristallizzati, eccheggiano solo nella mente. Quando a titolo di esercizio proviamo a trasformare i nomi in verbi, siamo condotti a pensare in modo più ricco e reale. Parlare di germe per indicare il seme di fagiolo è riduttivo, quando invece dico “ciò che germina, che si sviluppa “uso la forma verbale e mi trovo con qualcosa che cresce, che si muove. È un primo passo dall’astratto al concreto. Dovrebbe diventare uno scopo dell’umanità pensare in modo figurativo e immaginativa quando parla.

È soprattutto nella vita sociale che l’astrattezza raggiunge la massima estensione. Le persone si sono abituate  ad accettare le parole  come una sorta di valuta verbale con la quale non pensano più in alcuna immagine reale. È l’uso convenzionale delle parole. Eppure, il genio del linguaggio crea innumerevoli connessioni che devono solo essere scoperte dall’individuo per avvicinarsi alla vita spirituale. È proprio quando cerchiamo, a titolo di esempio, di trovare il verbo dietro il sostantivo. Anche l’aggettivo è meglio del sostantivo.  Goethe ebbe a dire:”Medito sulla cosa, dovrei riflettere sul come”.

Queste riflessioni danno una idea della relazione tra il mondo dei sensi e il mondo dello spirito. Ne ricaviamo una concezione tra sensibile e sopra sensibile molto più viva. Il metodo è quello di caratterizzare senza dare definizioni rigide, di spiegare una cosa con l’altra,  in modo che le cose si chiariscano reciprocamente. E alla comprensione dello spirito non si può arrivare altrimenti che riferendo una cosa ad un’altra. Ciò che nella vita ordinaria viene percepito come l’unico significato della parola in realtà è uno strato esterno superficiale. Un vero poeta, ad esempio, è solo una persona che ha un fine sentimento per la interiorità del linguaggio, un sentimento più acuto degli altri. Quella persona è un vero poeta che è vivo per l’immaginazione nel linguaggio, proprio come l’artista plástico vive nel colore e nella forma. La poesia non fa nascere fantasmi sonori o concettuali per rivestirli di parole ma fa deflagrare le potenzialità che la parole racchiudono.

Quindi, ciò che chiamiamo linguaggio comune, astratto e cristallizzato, è un dato di fatto da trascendere per sviluppare ciò che è individuale, ciò che tocca a ciascuno raggiungere individualmente. E ciò che è individuale non appare se non ci lavoro decisamente e saggiamente per costruirlo. La sicurezza che ci dà l’abitudine al linguaggio comune è sotto sotto paura della libertà. È il fenomeno del gregge. Se ciascuno di noi trascura la realizzazione della individualità, resta solo a galla ciò che è comune. Ci si abbandona allora agli automatismi del linguaggio, si sente una parola e segue un certo pensiero,  anziché avere pensieri per volizioni individuali in un linguaggio vivo. Che cosa non è automatico? La realizzazione dell’Io unico. È il mistero della libertà,  può esserci o può venire omessa.

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