di PierPaolo Caserta, 09 marzo 2017
Ho letto l’intervista a Civati sul Manifesto e mi sembra che, nonostante il titolo (“Uniamoci, una follia tante liste di sinistra”), ci sia molto di più di un generico, nell’ispirazione, e frettoloso, nei processi, appello all’unità della sinistra. Si vedano alcuni passaggi in particolare: “Si parla molto di accrocchi, coordinamenti, e invece poco di progetti, programmi e scelte di campo vere. Dobbiamo prendere impegni riconoscibili per costruire un’unica proposta elettorale autonoma dal PD in vista delle prossime elezioni.” Non ritrovo, nell’intervista, esortazioni a un’unità che preceda la necessaria definizione di identità certamente diverse a sinistra, proprio al contrario: “non c’è fretta per i movimenti di palazzo. Non si può ragionare solo in termini di ceto politico. Non dobbiamo fare la somma di personalità del passato.”. Aggiungo un’annotazione personale: andiamo sempre più chiaramente verso uno scontro, esiziale per la democrazia, tra populismi e partiti di sistema. I primi prosperano sulla ritirata della questione sociale, i secondi, docili ai dogmi della tecno-finanza, si giovano della subalternità della pseudo-sinistra. In questo quadro, la sinistra, cosa deve, e cosa può fare? Se non si fa massa critica, di fronte a questo scontro si può essere solo spettatori, attori marginali. E in questo caso anche complici: della deriva involutiva della democrazia. I processi di formulazione dell’alternativa politica a sinistra vanno ripensati alla luce della fisionomia odierna dell’egemonia neoliberale, della quale i populismi sono complemento, dello specifico stato di avanzamento del tardo-capitalismo. É chiaro, e qui accenno soltanto, che per fare questo bisogna produrre molta analisi, come base indispensabile dell’azione politica: della società, delle nuove forme del lavoro, del precariato e quindi della conflittualità sociale ecc., per tornare a dare delle risposte agli sconfitti della globalizzazione diventati massa di manovra per i populismi di destra.
Mi chiedo, in particolare (mi chiedo, e sia chiaro che ho anche molti dubbi), se abbia ancora senso, dentro la sinistra certa della sua completa alterità sia rispetto ai populismi che al neoliberismo (compreso ovviamente il neoliberismo della pseudo-sinistra), e lontana dalle sirene neocentriste, restare al palo di contrapposizioni divisive ma immobilizzanti. Se non sia, invece, prioritaria e urgente la ricerca di una sintesi nuova, senza esiti prestabiliti, nella quale ciascuno sappia rinunciare a qualcosa di identitarismi (agli identitarismi, non all’identità!) e particolarismi. Equidistanza dai populismi e dai dogmi del neoliberismo; chiara e netta chiusura verso ogni progetto neocentrista. Rimettere in moto la questione sociale senza per questo rinnegare i diritti individuali (le due cose a sinistra non devono mai escludersi!). Per qualcuno non sarà molto, ma io penso sia questa la prima fondamentale piattaforma che dobbiamo farci bastare per ricostruire la sinistra.
Questo non esclude, e anzi dal mio punto di vista richiede, che le diverse identità siano preventivamente definite – e nemmeno Civati credo abbia inteso dire questo. Anzi, come detto, leggo nella sua analisi esattamente il contrario. La formazione di un soggetto plurale deve essere un esito finale; aperto e consapevole, che è possibile soltanto se ciascuno sa chi è. Credo che SI abbia ancora del lavoro da fare per definire alcune sue posizioni. Tutto questo significa, invece, che fin dal principio di questo ampio e difficilissimo processo costituente, ancora in corso, bisognerebbe aver chiaro l’obiettivo finale: che tutti i rivoli confluiscano in un solo fiume, prima che sia tardi, prima di essere ingurgitati dai due oceani dei populismi e dei partiti di sistema (o, scenario purtroppo già avviato, dai populismi che diventano sistema, con esiti nefasti e imprevedibili).


