“Mani pulite” trent’anni dopo. Intervista a Vincenzo Musacchio.

per Vincenzo Musacchio

a cura di Lucia De Sanctis

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale e criminologia. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Professore, cosa ha rappresentato “Mani pulite” nella storia d’Italia?

Un maxi processo contro la corruzione. Niente di più e niente di meno. Ho sempre pensato che non potesse essere solo la magistratura a sconfiggere la corruzione. Mani pulite ha rappresentato l’incapacità della politica di affrontare e risolvere la “questione morale”. Si è delegato ai giudici il compito primario del bene comune che spettava alla politica.

Da allora ad oggi cosa è cambiato?

Il virus iniziale ha manifestato le sue innumerevoli varianti. Sono scomparse le vecchie mazzette. Oggi ci sono metodi molto più raffinati che vanno dalle consulenze alle false fatturazioni, alle assunzioni e così via. Come dice Davigo: “prima si vergognavano, oggi ne fanno quasi un vanto”. In buona sostanza sono diventati più furbi e “rubano” di più di prima ma protetti da leggi che li favoriscono.

Secondo lei Mani pulite è stata un inchiesta ben condotta?

Tranne che per l’uso eccessivo della custodia cautelare direi di sì. Il dopo inchiesta invece non mi è piaciuto poiché alcuni attori hanno preferito utilizzare la loro fama giudiziaria per fare carriera politica.

È vero che c’erano possibili connessioni tra Mani pulite milanese e Cosa Nostra?

Il mio pensiero – che resta tale – è che Giovanni Falcone stesse lavorando ad un nuovo maxiprocesso che oltre i mafiosi coinvolgesse politici, imprenditori e industriali. Il legame fra mafia, imprenditoria e politica oggi è palese ma trent’anni fa avrebbe significato scoprire il malaffare politico-amministrativo-imprenditoriale siciliano con il resto del Paese. I tempi non erano maturi per una connessione stretta tra mafia e politica legati strettamente tra loro dal vincolo della corruzione.

Come si può fare a superare la pervasività della attuale corruzione?

Politica e scuola hanno un ruolo determinante in questa azione di lotta. Occorrono un intervento educativo e una nuova classe politica. Se non cambia il modo di pensare, la corruzione non solo non si ferma ma aumenterà.

Lei è conterraneo di Antonio Di Pietro cosa ne pensa di lui?

Non lo conosco quindi non potrei esprimere un giudizio compiuto. Posso solo dire che quando si è candidato in politica lo ha fatto dimettendosi da magistrato e questo è sicuramente un fatto apprezzabile.

C’è più o meno corruzione oggi in Italia?

Molta di più oggi. Non ci sono più le maxitangenti ma la corruzione si è territorializzata in mille rivoli. È diventata quasi un modus vivendi.

Come la si combatte?

Con strategie e strumenti investigativi e giudiziari innovativi. Controlli di tipo digitale preventivo, incrocio delle operazioni finanziarie, amministrazione trasparente, tecnologie di monitoraggio non a campione. Occorre diffondere la cultura della legalità, della buona amministrazione, dell’utilizzo del denaro pubblico a vantaggio dei cittadini e per il bene comune. Sarebbe un buoni inizio per cominciare a combattere seriamente la corruzione.

Perché dopo questi trent’anni non c’è stato alcun cambiamento?

Perché la politica non ha svolto bene il proprio dovere. È spesso intervenuta con norme ad personam per migliorare le speranze di impunità. La repressione dei crimini dei colletti bianchi ad oggi è inesistente. La fase educativa su questi temi è pressoché nulla. Gli italiani non possono neanche assumersi la responsabilità degli eletti perché il sistema elettorale attuale non lo consente. Sono tutti fattori che depongono a favore di un immobilismo inaccettabile.

Per il futuro lei è ottimista? Ci lasciamo con un messaggio di speranza?

C’è speranza se ognuno di noi si impegnasse semplicemente nel fare il proprio dovere. Occorre l’impegno di tutti al rispetto delle regole e che non può risolversi in chiacchiere ma deve tradursi in fatti concreti. In Italia il rapporto tra cittadino e legalità non può più essere travagliato. Raccomandazioni, furbizia, assenza di meritocrazia e privilegi devono essere ridotti ai minimi termini. Solo così c’è speranza di salvezza per questa sfortunata Nazione.

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