MARIO VARGAS LLOSA SPIEGA LA CREAZIONE DI FERNANDO BOTERO
Nel 1996 l’artista colombiano Fernando Botero donò al Museo de Arte Contemporàneo de Caracas Sofìa Imber una serie di 15 sculture, in riconoscimento al pubblico che lo aveva ricevuto di forma entusiasta. Per l’inaugurazione, il Museo fece stampare il catalogo che includeva il magistrale saggio dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa dal titolo La suntuosa abbondanza, che cerco di riassumere, memore di quell’entusiasmo.
“Identificare la bellezza con la magrezza è occidentale e moderno, pregiudizio anglosassone e protestante. Tra i popoli antichi, nelle culture primitive la magrezza produce ripugnanza o spavento perché associata alla fame e la malattia. Nella consuetudine grecolatina l’armonia tra le membra non escludeva l’essere robusto. Quando Botero era bambino, la tradizione latino-americana associava l’abbondanza alla bellezza. Da giovane, in maniera quasi incosciente, cominciò a fare bozze di corpi gonfiati che divennero poi il suo tema. Apparve un mondo sontuoso, insolito, sorridente, tenero, innocente, sensuale. A lui intanto parevano snelli, erano l’esaltazione della vita che comunica la voluttà delle forme. L’obesità divenne veicolo di sensualità artistica, un punto di vista e un metodo prima ancora di una concreta realtà. Le sue figure voluminose, quindi, sono amore alla forma, al volume, al calore, sono una festa visiva prima ancora che desiderio, strumento di trasfigurazione della vita. Continua Vargas Losa osservando che sensualità non è sinonimo di sessualità, e in certi casi nel mondo di Botero possono essere contrari. Le sue donne elefantiache con enormi gambe e colli di buoi sono carnose, non carnali. Hanno tutte un sesso quasi invisibile, smarrito e vergognoso tra le masse delle gambe. In esse non c’è lascivia, l’ingrediente sessuale è infimo. Sono grasse e placide, innocenti e materne. Anche se sono nude, bevendo, ballando molto stretto o coricate sul letto, danno l’impressione di essere eunuche e inibite. In questo mondo essenzialmente matriarcale i maschi cercano nelle femmine, più che piacere, la compagnia e la protezione. Davanti ad esse sembrano indifesi e piccolini. Le donne di Botero con i loro quaranta o cinquanta anni incarnano soprattutto la donna-madre, il tabù supremo, colei che allatta ed è colonna del focolare. È questa immagine che prevale e che rende timida e pudica l’attitudine con la quale gli esseri maschili si avvicinano.
Al gonfiarsi, le figure di Botero si alleggeriscono e rasserenano, raggiungono una natura primigenia e innocua. Il gigantismo che le arrotonda fino al limite sembra svuotarle di desideri, emozioni, illusioni, sentimenti. Sono solo corpi, superfici. Botero osservava che sono deformazioni, perché chi crea deve deformare la natura, perché l’arte è deformazione. Non c’è intenzione di caricaturizzare o ferire. La natura che è mostrata ha raggiunto la mansuetudine attraverso le forme voluminose. È un mondo innocuo come lo sono i giocattoli dei piccoli, privi del tempo che logora la vita. A differenza del divenire umano, il mondo di Botero è un mondo congelato, tempo che è divenuto spazio, le figure e le cose stanno in un momento di maturità, prima di decomporsi e di ossidarsi. L’esuberanza eternizza e sottrae all’usura, è un tempo immobilizzato nella memoria e la nostalgia.
Il mondo di Botero è latino-americano, andino, provinciale. Colombia è il Paese dove il castigliano e la religione cattolica sono rimasti tradizionali, meno permeabili alla modernizzazione. Questo mondo provinciale lo portava con sé nella memoria, dall’infanzia, preservato dal rischio di dissolversi in formalismo o astrattismo. Attinge Botero alle case coloniche di doppio tetto, le chiesette, agli orti, le cucine, le dispense; qui il cibo è ben visto, è segno di salute e prosperità, un piacere ammesso. È un mondo di avvocati dai baffetti corti, il gilè, i capelli impomatati, senza cravatte. Un modo maschilista, di istinti repressi, che poi frequenta di notte la casa di malaffare e si ubriaca. Ogni sudamericano riconosce in questo carosello certe maniere di sentire, sognare ed agire tipiche delle città e paeselli del Continente. Un mondo che risuscita, reale e fittizio, tramutato in arte. Botero ha sottratto il tempo a questo mondo, lo ha paralizzato, gli ha tolto la violenza, il sordido, e gli ha dato una vita idilliaca di paese, in equilibrio e pace, senza eccessi, sonnolente. I personaggi sono intercambiabili, sono simili i vestiti, le espressioni, gli atteggiamenti, i gesti, le posture. Cambia solo il titolo del quadro. È un mondo immunizzato contra la truculenza e il tormento, e nella sua creazione non c’è posto per la morte, l’odio, la violenza, la decadenza. In questa sfilata di immagini, c’è molto di ingenuo, di aneddoto, di folklore. L’abito, in Botero, fa il monaco, nel senso che i suoi personaggi non sono modalità di essere ma di apparire, la loro apparenza è la loro essenza. La sua visione “ingenua” si appoggia nella logica e il rigore, non c’è improvvisazione ma metodo, e la sua creazione è più vicina all’accademia che alla strada.
America latina è culturalmente parte di Occidente o è la sua negazione? È anche il preispanico e l’africano che si sono fusi. È certo che dall’Europa arrivarono idee e valori, le lingue, il contesto culturale dal quale affermano o negano l’identità e le differenze dei creatori. Il meglio che America Latina ha prodotto di durevole si trova in una relazione di rifiuto/attrazione dell’europeo. Borges scrisse che la nostra tradizione è tutta la cultura occidentale e nostro diritto, e i sudamericani possono modellare tutti i temi europei con una irriverenza che tiene conseguenze fortunate. Tra i maestri di Botero vi sono Masaccio, Mantegna, Paolo Uccello, Piero della Francesca. Botero, in un disegno a carbone dal titolo La cena con Ingres e Piero della Francesca, si siede al loro tavolo e dialoga, perché hanno qualcosa in comune, una continuità attraverso il tempo e la distanza. È indubbiamente un quadro di Botero, perché le figure sono gonfiate e alleggerite, congelate. È un omaggio di riverenza e difesa di una tradizione.”
FILOTEO NICOLINI
Immagine: Bailarines (Ballerini)


