di Alfredo Morganti
La politica, la boxe, l’unità ‘combattuta’. Quando la politica chiede il conflitto regolato e non la scena frontista.
Sappiamo da un sondaggio di Repubblica che Matteo Salvini sarebbe sia il miglior uomo politico italiano (21%) sia il peggiore (34%). Troppa grazia per chi ambisce a prendersi il Paese. Non si può essere uno statista, e nemmeno un semplice uomo di governo se si è così divisivi e se si scatena una tale contrapposizione di pareri. Un po‘ quel che è accaduto a Renzi: stessa ‘divisività’ camuffata ovviamente dal suo contrario, con esiti immaginabili all’inizio e poi puntualmente verificatisi. Dunque un Salvini non si augura all’Italia non solo per i contenuti che indica, ma anche per l’incapacità di esprimere la necessaria capacità di unificazione, di mediazione, di raccordo politico. Una democrazia rappresentativa si regge se il sistema non solo sa ‘rappresentare’, non solo se comprime ‘verticalmente’ il divario che c’è tra alto e basso, istituzioni e cittadini, ma soprattutto se, ‘orizzontalmente’, introduce elementi di mediazione, di composizione e di unificazione che oggi mancano tragicamente, producendo un paesaggio lunare di frammenti sparsi e sempre più incattiviti.
Che ‘mediazione’ non voglia dire ‘pace e bene a tutti’, ma il contrario non dovrei nemmeno ripeterlo. Non amo la boxe, ma mi piace prenderla a metafora. Ebbene, prendete il caso di uno scontro sul ring dove ci si limiti a insultarci da lontano, ognuno dei contendenti poggiato sulla schiena alle corde del ring e ben discosto dall’altro. Ecco, questa per me sarebbe un’interpretazione ‘polarizzata’, astratta, inefficace, improduttiva del confronto politico: insulti senza alcuna ‘scherma’ effettiva, roba da mass media o da leoni da tastiera, non da combattenti di razza. La boxe ‘vera’ invece chiede che i due contendenti si avvicinino, si tengano a portata di scherma e di guantone appunto, e combattano lealmente. La ‘mediazione’ è questa distanza ravvicinata, è l’unità ‘popolare’ che consente il conflitto regolato e mantiene il sistema nei cardini della democrazia. Questa è politica, l’altra è solo comunicazione.
Quando prevale la comunicazione ci si insulta a distanza agli ordini di un guru (e magari si fanno le pastette sotto forma di accordi segreti!). Quando c’è la politica, invece, prevale l’agon, c’è la lotta, ci sono i “tumulti” (ricordate il Machiavelli che discute Livio?) ma nella forma ravvicinata e regolata del conflitto produttivo e dell’unità, cioè nell’interesse comune del Paese, della democrazia, delle istituzioni e del bene pubblico. Con la Seconda Repubblica si è scelta, al contrario, la modalità composta di ‘insulti polarizzati’ più le pastette in gran segreto. Vorrei una Terza Repubblica molto simile alla prima, invece. Scontri politici anche duri, ma nel rispetto del Parlamento e della rappresentanza. Scherma boxistica, e non semplice ‘scena’ sul ring a uso di social e media, senza che voli mai un pugno vero; scherma praticata da pessimi boxeur.
Sempre su Repubblica Marco Revelli, parlando dell’uomo politico Conte e del suo ruolo di mediatore nel deserto attuale della mediazione, ricorda come Mario Tronti avesse parlato della DC come ‘mediazione pura’. Potrei dire che anche il PCI, a suo modo, era impegnato in tale compito e come il ‘compromesso storico’ fosse esattamente questo: l’invito a boxare democraticamente in pubblico, nel sociale e nelle istituzioni, ma in forma ravvicinata, ‘unitaria’ per il bene del Paese. E non a costruire spettrali (spettacolari, propagandistici) frontismi. Se in questo Paese c’è un vuoto di politica si tratta allora di un vuoto di mediazione, che della politica moderna è l’essenza. Senza la quale tutto si riduce a qualche diretta fb, a due post scombiccherati, e poi null’altro. Se sommiamo il vuoto di partecipazione organizzata (e dunque di partiti di massa, perché altre forme-partito ci sono, altro che) al vuoto di mediazione, lo scenario politico oggi appare già definito in tutte o quasi le sue sfumature. Ci vuol tanto a capire, allora, che la strada da intraprendere è questa? Che serve un’unità combattiva, oppure un combattimento unitario, piuttosto che la finta aggressività di chi si limita all’insulto a distanza e predica astratti frontismi, per poi accordarsi in segreto con il nemico pubblico, che tale in realtà non è affatto?


